Abitare il piemontese: la parola di questa settimana è Censa

Privativa, bottega, licenza per la rivendita di generi del monopolio.

"Un agosto di fuoco" con gli eventi per il centenario fenogliano
Censa di Placido a San Benedetto Belbo ©Filippo Ghisi

ABITARE IL PIEMONTESE Tempo fa mi trovavo di fronte a una schiera di studenti delle scuole superiori provenienti da varie province piemontesi e, in un momento di dibattito, chiesi se sapessero il significato di una parola che fino a quel momento avevo menzionato più volte: censa. Qualche timido tentativo accennò a un collegamento con il censimento, ma neppure uno studente individuò il significato reale, che ora conoscono: una bottega deputata alla vendita al minuto di generi come sali, tabacchi, chinino, valori bollati. Qualcuno giustamente traduce censa con l’italiano privativa, appunto un monopolio legale riservato allo Stato e da questo concesso a un ente privato.

Ma perché in piemontese la censa si chiama così? Beninteso, a seconda della zona c’è chi la chiama anche ciansa, sansa, acensa, e via dicendo. Dalle varie fonti ne ho scorta una che accenna a un’origine latina accensare (fare il censimento, accatastare), succedaneo del latino classico censere (dichiarare). Eppure l’origine della parola di questa settimana pare ben più immediato e popolare: per vendere quei beni del monopolio di Stato, era ed è necessaria una licenza, in piemontese licensa. La censa è così chiamata per una semplice abbreviazione linguistica.

Una censa tra tutte è senz’altro quella di San Benedetto Belbo, in Alta Langa, tabaccheria (che svolse anche servizio di locanda, bar, osteria e albergo), di Placido e sua moglie, persone reali e personaggi letterari nei racconti di Fenoglio. Da qualche mese, quel luogo così assoluto è tornato a rinnovato splendore, sede di museo letterario interattivo visitabile liberamente e gratuitamente. Ai tempi dei Savoia, il re Vittorio Emanuele era solito fuggire, lontano da occhi indiscreti, per andare a trovare una delle sue numerose amanti che, qualora fossero rimaste “inavvertitamente disonorate”, sarebbero state ricompensate con una “licenza” per la rivendita di sali e tabacchi, che avrebbe garantito loro e al fanciullo illegittimo il sostentamento per gli anni a venire.

Paolo Tibaldi

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