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È boom di case affittate ai turisti

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IL CASO «Prima affittavo per tutto l’anno, soprattutto a professori in trasferta da altre regioni o a lavoratori di aziende. Dall’anno scorso sono passato alla locazione turistica: ho un alloggio che può accogliere fino a quattro persone, comodo per i servizi pubblici e ideale per le famiglie con bambini. Lo affitto a 180 euro a notte: nei mesi in cui è pieno, soprattutto tra aprile e novembre, guadagno di più rispetto a un affitto tradizionale. Inoltre, mi è capitato in passato di avere problemi con gli affittuari: la formula breve, che di solito non supera i quattro o cinque giorni di pernottamento, mi conviene». Parla Mauro, uno dei tanti residenti di Langhe, Roero e Monferrato che, negli ultimi anni, si è convertito all’ospitalità. Il suo alloggio è nel centro di un piccolo paese a un quarto d’ora di auto da Alba.

Si trova in un condominio degli anni Cinquanta, ristrutturato di recente. All’interno è molto accogliente, con le pareti ritinteggiate, mobili e tende nuove. «Se penso a una decina di anni fa, mai avrei pensato che un normale alloggio di paese potesse diventare attrattivo per i turisti, anche se la mia non è una struttura ricettiva».

Quella di Mauro è una locazione turistica, per l’appunto. O un “Airbnb”, come viene chiamata in modo colloquiale dal nome della principale piattaforma di riferimento, il cui limite è un affitto massimo di 30 giorni. Nelle ultime settimane, il tema è al centro del dibattito nazionale: dalla protesta degli studenti universitari nelle città italiane, che hanno piazzato tende di fronte alle università per sollevare il tema della difficoltà a trovare appartamenti o stanze a prezzi accessibili, si è arrivati alla critica alle locazioni brevi, che certo hanno inglobato parte di questa offerta.

Anche ad Alba il fenomeno è noto: come Gazzetta d’Alba ha riportato più volte, esistono migliaia di case “sfitte”, molte delle quali verosimilmente convertite in chiave turistica. Ma non è solo una questione di mancanza di alloggi per lavoratori, giovani e famiglie: a scagliarsi contro il boom degli affitti brevi sono le associazioni di categoria del comparto ricettivo, come Federalberghi, che da tempo chiedono una regolamentazione per fare fronte a quella che viene inquadrata come concorrenza sleale nei confronti di hotel, affittacamere e bed&breakfast ufficiali.

In risposta alle richieste, il ministro Daniela Santanché ha parlato di una normativa in arrivo, una stretta: «Non voglio criminalizzare, ma credo che sia necessario. Bisogna distinguere chi affitta una stanza o un piccolo appartamento per arrotondare lo stipendio e chi esercita un’attività, che deve sottostare a regole precise». Elisabetta Grasso è la direttrice del consorzio turistico Langhe, Monferrato e Roero: «Il tema è delicato, perché manca una reale regolamentazione, con forti differenze tra le locazioni brevi e le altre realtà ricettive, quando spesso rischiano di confondersi, se si guarda al modo in cui vengono presentate. Una differenza riguarda la qualità dell’offerta, visto che le strutture seguono una formazione continua: non significa si debba puntare il dito verso le locazioni turistiche, ma servirebbe fare chiarezza. A livello locale, stiamo lavorando sul tema insieme all’ente Turismo».

Ma quali sono i numeri dell’offerta di locazioni turistiche sul territorio delle colline Unesco? In tutta l’Atl, ne risultano 1.388, rispetto a 1.420 strutture ricettive. La crescita è evidente e per rendersene conto basta vedere i dati di sei mesi fa, quando le locazioni erano 1.285 e le strutture 1.514. Inoltre, si parla di locazioni turistiche guardando a realtà munite di Cir, il Codice identificativo regionale, che viene rilasciato nel momento in cui il locatore comunica l’inizio dell’attività turistica. Ma non tutti si sono registrati ed esiste un sommerso che sfugge a ogni censimento. Anche perché una locazione turistica dovrebbe essere molto diversa da un bed&breakfast o da un hotel: per esempio, non si potrebbe preparare la colazione o somministrare cibo, ma nemmeno effettuare le pulizie o cambiare la biancheria tutti i giorni, per la mancanza dei controlli igienico-sanitari a cui vengono sottoposte le strutture ricettive. Le associazioni di categoria del comparto alberghiero si scagliano anche contro il regime fiscale, più agevole, con una ritenuta del 21 per cento: si tratta di attività che non necessitano di partita Iva. Non esistono invece differenze per quanto riguarda la tassa di soggiorno.

 Francesca Pinaffo

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