Pnrr, molte ombre e ancora poche luci

Il Parlamento europeo
Il Parlamento europeo

POLITICA INTERNAZIONALE È stata certamente una buona notizia per l’Italia l’annuncio dello sblocco da parte della Commissione europea della terza rata destinata al “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (Pnrr), ossigeno anche per le casse in esaurimento dello Stato. Una valutazione più attenta impone però qualche considerazione per meglio contestualizzare la notizia e suggerire qualche interrogativo sulle prospettive future.

Cominciamo dal riepilogare i fatti. Nel 2021, alla transizione tra il secondo governo Conte e il governo Draghi, aveva ricevuto dall’Unione europea per l’Italia, prima beneficiaria tra i 27 Paesi Ue, una straordinaria dotazione di risorse di 191 miliardi di euro, 122 di prestiti e 70 di contributi a fondo perduto, ricavati dalla creazione di un debito comune europeo di 750 miliardi,  per rilanciare l’economia dopo il Covid e realizzare una serie di riforme attese da tempo.

Questa dotazione finanziaria era vincolata a un accordo con la Commissione europea che prevedeva scadenze vincolanti per la realizzazione di investimenti e relativa esecuzione di spesa, accompagnata da riforme concordate con Bruxelles.

Con Draghi al governo l’Italia aveva ricevuto, tra luglio 2021 e giugno 2022, 67 miliardi di euro, comprensivi di un pre-finanziamento iniziale di 25 miliardi. Per il 2023 erano attesi ulteriori versamenti per altri 53 miliardi. Di questi la buona notizia è l’annuncio del versamento imminente di una rata di 18,5 miliardi, decurtata di 500 milioni di euro, attesa da inizio 2023, mentre restano in sospeso senza una previsione sicura di data, le altre due rate: la prima di queste era attesa per lo scorso giugno e, se tutto va bene, verrà ritardata a dicembre, della seconda non se ne parla, con un incasso per l’intero 2023 che non dovrebbe superare i 35 miliardi.

Tutto questo nel quadro di una proposta di revisione complessiva del Pnrr annunciata dall’Italia  per agosto, in vista di una rinegoziazione che non sarà né semplice ne rapida nei prossimi mesi.

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Questi i dati essenziali del problema, limitatamente agli aspetti finanziari, ma senza dimenticare che restano sul tavolo con notevoli ritardi e importanti contenziosi aperti (come in materia di giustizia, in particolare sull’abuso d’ufficio) molte delle riforme cui si era impegnata l’Italia nel 2021.

A due anni di distanza dalla straordinaria apertura di credito dell’Ue all’Italia e a poco più di due anni dalla scadenza finale, nel 2026, per la la realizzazione del Pnrr il bilancio sembra avere più ombre che luci, come testimoniano anche le permanenti tensioni in proposito tra Roma e Bruxelles. Se poi a questo si aggiunge che stiamo entrando nella fase finale della revisione di quel “Patto di stabilità” da cui dipenderà il governo delle finanze pubbliche dell’Italia, allora non sono i motivi di preoccupazioni che mancano.

Da una parte perché è improbabile che i ritardi accumulati nel 2023 verranno recuperati nei tempi previsti dal governo italiano e, dall’altra, perché nel clima politico tra le parti sembra di capire che la fiducia di Bruxelles sull’affidabilità italiana nel mantenere i patti si stia progressivamente indebolendo, nonostante le benevoli aperture del mite Paolo Gentiloni, l’italiano commissario agli Affari economici europei.

Non sarà un autunno facile per l’Italia, quando dovrà anche affrontare la formazione della futura legge di bilancio, costretta da un lato a contenere i livelli di deficit e di debito pubblico per non incorrere in eventuali sanzioni del nuovo Patto di stabilità e, dall’altro, a poter disporre di sufficiente liquidità nelle casse dello Stato, con un fabbisogno che non accenna a ridursi, come non accenna a ridursi l’evasione fiscale, che qualcuno al governo sembra voler anche incoraggiare in nome della cosiddetta “pace fiscale”, l’altro nome usato per non pronunciare la parola “condono” per gli evasori.

Franco Chittolina

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