IL PERSONAGGIO Nei profili biografici, anche i più asciutti, di chi in Italia passò attraverso, l’8 settembre 1943, è quasi sempre come personificato: nella sua destabilizzante sorpresa, nella sua incerta luce, quella data vede, coglie, trova ognuno di loro. Ci fu chi subito scelse di cominciare la Resistenza al nazifascismo; per alcuni fu un approdo, per altri una continuazione.
Tra questi, sulle colline delle Langhe di rastrellamenti e nascondimenti, è il francese (lionese) Louis Chabas, già giovanissimo resistente contro l’occupazione nel suo Paese. Catturato dagli occupanti italiani, l’8 settembre lo trova, diciannovenne, in prigione insieme ad altri connazionali a Fossano, da cui riesce a evadere, nel disordine del momento, decidendo di unirsi alle bande partigiane sulle colline (prima formazione: Val Casotto, riporta la sua scheda).
Noto a tutti come Lulù il francese, si costruisce presto una reputazione avventurosa e romanzesca, di rispettabilità e inafferrabilità, che rispecchia anche la sua autonomia, se non insofferenza, rispetto alle maggiori formazioni e nel metodo di guerriglia.
La sua squadra, la cosiddetta Volante Lulù, lo segue in azioni di sorpresa, sortite che man mano propagano un’aneddotica di prodezze spettacolari, beffarde, rocambolesche; l’elenco dei travestimenti (tutti credibili e creduti) che gli si attribuisce è il più vario, e segnerà in amaro contrappasso anche le circostanze della sua morte (in uniforme tedesca, su un’auto tedesca) per fuoco amico.
Nelle Langhe il nome e la figura di Lulù – «pareva avesse 18 anni, bello d’aspetto e bruno, corretto nei modi, con lo sguardo profondo e triste», lo descrive il vescovo di Alba Luigi Maria Grassi, che lo vede a Dogliani nell’estate del 1944 – diventano materia popolare, riversabile negli stampi letterari del mito o della ballata.
A riprova, l’aggettivo che già in vita gli viene associato è leggendario: anche Grassi lo usa nelle sue memorie, ma la nota più vicina e sentita che ci sia capitata di leggere esce dalla penna di un ginnasiale di Alba, Oscar Pressenda, che nel suo diario di guerra in data 14 febbraio 1945, fa comparire Lulù per segnarne la morte.
Pressenda ha origini familiari a Roddino: e dalle zone di Monforte e Roddino, «ove la popolazione lo amava e stimava quanto mai», gli arriva la notizia, che riporta con equilibrio senza nascondere tristezza e rabbia. E di nuovo l’aggettivo: «Lulù è considerato quasi come un leggendario tra le popolazioni rustiche dell’alta Langa».
La forza del leggendario Lulù non si spegne e raggiunge, nel Dopoguerra, anche un mezzo letterario assai popolare: il fumetto. E in un’epoca (metà anni Sessanta) nella quale «la presenza dei partigiani e della Resistenza nel mondo delle strisce rimane estremamente sporadica», commenta Pier Luigi Gaspa nel volume Per la libertà.
La Resistenza nel fumetto (Settegiorni editore). Lulù il ribelle delle Langhe si merita copertina e storia di apertura di un piccolo albo da edicola, il numero di gennaio 1967 di Glory men delle milanesi Edizioni della bilancia in una selva di albi e giornaletti di ogni genere. È una testimonianza di una stagione di geniale, macchinale, rapidissimo e massacrante artigianato, non immune da imprecisioni (come «Chabard» per Chabas; «Bebbe» per Beppe) e semplificazioni, inevitabili anche per ritmi ed esigenze di cassetta.
Ecco l’attacco della didascalia iniziale: «Non è facile narrare le imprese di un uomo come il giovane partigiano Lulù il cui nome in alcune zone del Cuneense è addirittura leggendario». Subito siamo portati nella zona delle Langhe, dove «la vita dell’occupante tedesco fu sempre difficile».
Non sono in effetti rappresentati, nel racconto, i soldati della Rsi né la parte fascista: la loro assenza, anzi inesistenza è un dato che forse ci potrebbe dire qualcosa di una visione della storia nel momento in cui Glory men usciva in edicola. Nel fumetto, Alba è addirittura sede centrale di comando germanico, dove i nazisti progettano il «ripulisti» delle Langhe dalle forze partigiane, «una lezione sul tipo dato da Peiper a Boves».
L’unico accenno agli «alleati» italiani i tedeschi lo fanno quando uccidono un ragazzino che aiuta Lulù: in margine alla scena, un soldato richiama gli scugnizzi delle Quattro giornate di Napoli: «Questi italiani non vogliono la guerra… Ma quando si tratta di farla contro noi ci si mettono anche i ragazzi!». E a un altro è messo in bocca un sintomatico commento: «Credo che abbiamo sbagliato alleati, tenente! Da secoli siamo avversari!».
La storia inscena una beffa di Lulù: travestito da ufficiale tedesco, si infiltra nel Comando e scopre i piani del nemico; un tradimento per avidità rovescerà però le sorti in favore dei nazisti, e in una fuga dolorosa Lulù trarrà in salvo un gruppo di suoi partigiani sconfinando in Francia: ma tornerà, sospinto da un sogno che gli fa dire che «il mio posto, il mio destino… forse la mia stessa vita è là, nelle Langhe». E la didascalia finale ricorda infatti la sua morte, il 9 febbraio 1945, «falciato da una scarica… Lulù è morto… e per un attimo il cuore di tanti partigiani si fermò».
Questo racconto, disegnato in 39 tavole, non riporta indicazioni d’autore, ma nella tavola 18 si può riconoscere il nome di Pini Segna, firma poliedrica del fumetto nostrano più popolare, in cui fu sovente autore totale (disegnatore, sceneggiatore, produttore, editore), una fabbrica concentrata in un solo uomo.
Classe 1925, era fiorentino d’origine, di famiglia appassionata di arte (Segna era il suo nome di battesimo, forse da Duccio di Buoninsegna); l’8 settembre l’aveva trovato soldato in Liguria, e da lì passò sulle Langhe, tra i partigiani della 48ª Brigata Garibaldi. Nella zona di Dogliani, dove ventenne aveva combattuto, decise di tornare ad abitare in vecchiaia, per fare il pittore e l’illustratore; morì nel 2012.
Lulù fu per lui un «leggendario» compagno d’armi, e gli dedicò più di un racconto a fumetti: un secondo si apprezza nel documentario del 2018 di Remo Schellino e Alessandra Abbona, Loulou le frondeur.
Edoardo Borra