Ultime notizie

Gli ulivi spuntano in alta Langa: produrremo pure olio

Gli ulivi in alta Langa: produrremo pure olio

MURAZZANO Segno del clima che cambia o ritorno a un passato lontano qualche secolo? Comunque lo si interpreti, che l’alta Langa, dopo l’arrivo dei vigneti, accolga anche gli uliveti è degno di nota. Accade a Murazzano, su una superficie di tre ettari dove un tempo c’erano prati e gerbidi. Il proprietario è Ferdinando Principiano, vitivinicoltore a Monforte d’Alba.

«Sono circa un migliaio di piante, messe a dimora nei mesi scorsi ma già di tre anni, appartenenti alle varietà Leccino, Leccio del corno, Maurino, Frantoio e Pendolino. Il terreno è abbastanza inclinato, esposto in pieno Sud, sul versante che guarda verso Marsaglia. Abbiamo tante vigne e avevo voglia di provare qualche coltura diversa. Credo che pure gli uliveti possano contribuire a rendere unico il paesaggio a mosaico dell’alta Langa. Sempre a Murazzano, ho piantato anche tre ettari di lavanda».

Gli ulivi in alta Langa: produrremo pure olio 1

La sfida dell’ulivo non pare spaventare Principiano: «La coltura era già presente in passato, magari sarà un azzardo ma il clima sta cambiando. Le varietà impiantate resistono fino a meno quindici gradi. Un problema, comune però ad altre colture, sono le gelate tardive».

Principiano sottolinea che per un primo raccolto «che valga la pena si dovrà attendere tre anni. Rispetto a un vigneto, le lavorazioni sono molte meno e riesco a mettere davvero in pratica la lotta biologica. Con la vite ci provo, ma ma mi sono chiesto più volte se sia effettivamente sostenibile. Lascerò il suolo inerbito e potrò usare le stesse macchine in dotazione all’azienda. Lo stesso vale per i trattamenti, effettuabili con l’atomizzatore. Se nella vigna ne ho fatti quindici, nell’uliveto ne bastano due».

Continua il vitivinicoltore: «L’ulivo non patisce la siccità, non ha bisogno di concimazioni e ama terreni poveri. Fra due anni, la potatura andrà effettuata annualmente e dovremo dotarci di scuotitori e reti per la raccolta». Operazione, quest’ultima, che ben si concilia con i tempi della vendemmia: «Inizierà a fine ottobre. Un tempo si aspettava gennaio per produrre di più, ma l’olio aveva un gusto amaro e forte. Per la spremitura porterò le olive a Villanova d’Albenga e Borgomaro. Avrei i fondi per investire in un frantoio, ma mi è stato sconsigliato: l’olio è molto delicato e richiede esperienza».

Lo conferma l’agronomo Antonino Demaria, che sta seguendo passo a passo l’iniziativa di Principiano: «Puoi avere un bellissimo frantoio, ma io non salirei su un elicottero mai usato. Nell’immaginario, molti credono che la macina a pietra sia migliore. Oggi, in realtà, è superata e favorisce l’ossidazione dell’olio. Meglio i nuovi impianti in acciaio inox, veloci a spremere e facili da lavare».

Riguardo agli uliveti di Principiano, il tecnico commenta: «Il suo è il primo progetto imprenditoriale langarolo di un certo livello. Gli ho consigliato di impiantare diverse varietà sia per favorire l’impollinazione sia per ottenere un amalgama di gusti».

In Piemonte, prosegue Demaria, «l’olivicoltura è in forte ascesa. Dall’anno scorso, l’incremento è stato del trenta per cento. Stiamo ottenendo risultati interessanti, piove di più e le olive contengono una percentuale maggiore di acqua, l’olio piemontese è più fresco rispetto a quello del Sud, molto più profumato di quello ligure, mediamente leggero e piacevole al gusto. Non è da usare per la cucina di tutti i giorni, anche considerando la sua rarità». Conclude l’agronomo: «Entro fine anno pubblicheremo, con l’Università di Torino, uno studio sull’origine genetica degli ulivi secolari piemontesi, incontrati soprattutto nel parco del castello di Masino. Essendo piante così vecchie, sarà interessante capire come si siano adattate, per poterne promuovere eventualmente la moltiplicazione».

Davide Barile

In Piemonte già 350 ettolitri: il Consorzio vuole ottenere l’Igp

Dal 2007 esiste il Consorzio per la tutela dell’olio extra vergine piemontese, diretto da Marco Giachino. «Coltivo venti ettari sulla collina torinese» spiega, «ma il mio sogno è piantare ulivi a Guarene, il paese d’origine della mia famiglia. Le fonti storiche dicono che, fino al Settecento, in Piemonte c’erano tanti uliveti quanti i vigneti. Era un paesaggio diverso rispetto ad adesso, non esisteva la monocoltura, spesso i contadini avevano appena qualche filare. In seguito furono progressivamente abbandonati, per gli effetti della piccola era glaciale, e ripresi dagli anni Ottanta». Oggi, nella nostra regione, «ci sono circa 350 ettari a olivo, con 200mila-250mila piante. Gli ulivi sono un po’ ovunque, le aree con la maggior diffusione sono il Canavese e il Monferrato. Gli ettolitri prodotti sono all’incirca 250-300. In tutto, siamo sui novecento olivicoltori, annoverando l’hobbista e l’imprenditore. Eravamo l’unica regione a non avere una commissione di degustatori per richiedere la menzione extravergine: grazie ai corsi avviati, potremo disporre di quaranta esperti. Ci stiamo impegnando nel redigere l’albo uliveti e richiederemo pure l’Igp».

Aggiunge l’agronomo Antonino Demaria: «Il lungo iter partirà nei primi mesi del 2024. Dotarsi di un disciplinare è l’unico modo per certificare che l’olio provenga dal Piemonte, a tutela dal consumatore che lo paga abbastanza caro. Sarà una denominazione regionale, suddivisa in varie sottozone come, ad esempio, Pinerolese, Saluzzese, Canavese, Monferrato e, ovviamente, Albese».

Oltre al già citato Principiano, potranno fregiarsi dell’etichetta diversi produttori delle colline langarole. Tra loro, Massimiliano Rinaldi, che coltiva un ettaro a Santa Rosalia; la famiglia Stupino della cantina Castello di Neive, con qualche centinaio di piante, e il gruppo di olivicoltori di Castiglione Tinella, 44 conferenti guidati dalla famiglia Contino. Sono presenti, da oltre dieci anni, anche numerose piante di ulivi a Cerretto Langhe che, grazie all’esposizione favorevole, da diverso tempo regalano i loro frutti ai proprietari

d.ba.

Banner Gazzetta d'Alba