Siamo solo custodi, non padroni, della vigna di Dio

PENSIERO PER DOMENICA – XXVII TEMPO ORDINARIO – 8 OTTOBRE

Nelle letture della XXVII domenica, specie nel Vangelo (Mt 21,33-43), troviamo una rilettura postfactum della vicenda di Gesù. Quando Matteo mette per iscritto questa parabola è già successo quanto “profetizzato” in essa: la vigna è stata tolta ai primi vignaioli (i giudei) e affidata ad altri (i pagani). Al di là del dato storico, possiamo però trovare uno spaccato del cuore di Dio e indicazioni su come portare frutto.

Siamo solo custodi, non padroni, della vigna di Dio
Due uomini portano un grande grappolo d’uva, bassorilievo dal territorio del prosecco tra Conegliano e Valdobbiadene (Tv).

A Dio sta a cuore la sua vigna. Gesù, conoscitore della vita di campagna e dell’animo umano, sapeva quanto potesse essere amata una vigna da chi aveva dissodato il terreno (non certo con i moderni trattori), liberandolo dai sassi, prima di piantare viti pregiate. La relazione di amore e di cura tra il vignaiolo e la sua vigna è l’immagine di una relazione sponsale tra marito e moglie o del legame tra Dio e il popolo eletto. Quanto più forte è stato l’investimento d’amore, tanto più cocente è la delusione per il tradimento (Is 5,1-7).

 

Come portare frutto? Se si tratta della vigna materiale non occorre scomodare la Scrittura: bastano agricoltori ed enologi. Se si tratta della vigna di Dio, allora san Paolo (Fil 4,6-9) ci dà indicazioni molto concrete. Per portare frutto occorre innestare i cuori e le menti in Cristo. Occorre avere una fiducia nell’uomo, simile a quella di chi pianta una vigna, sapendo che i frutti non verranno prima di due-tre anni! La fiducia si alimenta di preghiera: «Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti». Infine è necessario aprirsi agli altri, al bene che c’è attorno. In una società complessa non possiamo fare tutto da soli né trovare tutto l’alimento di cui abbiamo bisogno nelle nostre comunità, sempre più vecchie e stanche. Dobbiamo essere pronti ad accogliere «tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro…» per farne oggetto dei nostri pensieri, per farlo diventare nostro.

 

Rendere a Dio quel che è di Dio. C’è un ultimo aspetto, inquietante e oscuro. I contadini della parabola vengono espropriati della vigna non perché non l’abbiano fatta produrre, ma perché si sono rifiutati di consegnare al padrone la parte a lui spettante, anzi hanno cercato di diventarne padroni uccidendo il figlio. Lasciamo in sospeso le interpretazioni possibili e limitiamoci a una sola domanda, forse quella che ha spinto papa Francesco a scrivere la Laudate Deum: noi, con il creato, non ci stiamo comportando allo stesso modo? Da padroni della terra, dimenticando che ne siamo solo custodi?

 Lidia e Battista Galvagno

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