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I tempi di crisi spingono a non sporcarsi le mani

PENSIERO PER DOMENICA – XXXIII TEMPO ORDINARIO – 19 NOVEMBRE

La parabola dei talenti (Mt 25,14-30), verso la fine dell’anno liturgico, suona come invito a fare un po’ di bilancio. Generazioni di moralisti hanno usato questa pagina per incitare le persone a dare sempre il massimo, con il rischio concreto di generare sensi di colpa. Se leggiamo questa pagina alla luce del Vangelo nel suo insieme, comprendiamo che non era questo l’intento di Gesù.

I tempi di crisi spingono a non sporcarsi le mani
I talenti più preziosi aiutano a essere aperti, a mettersi in contatto con Dio e con il prossimo.

Gesù non aveva una visione stakanovista della vita. Ha sempre usato bene il suo tempo, ha lavorato per guadagnarsi il pane (come san Paolo: «Chi non vuol lavorare, neppure mangi!») ma non ha mai assolutizzato il lavoro. Cercare il massimo guadagno non è la filosofia di vita né di Gesù né dei suoi discepoli; semmai di ideologie che negano Dio o venerano il dio denaro. Tanto più se accogliamo il messaggio della prima lettura (Pr 31,10-31): i talenti più preziosi non procurano ricchezza, ma creano relazioni profonde: la donna “perfetta” brilla per queste doti, più che per le sue capacità imprenditoriali.

Gesù però non è mai stato in ozio. Nella vita privata ha vissuto del suo lavoro e in quella pubblica ha vissuto giorni così pieni che non aveva il tempo di mangiare. L’ozio è una forma di disprezzo dei doni di Dio: di quel Dio che, come il padrone della parabola, ha diviso tra i suoi servi “tutti” i suoi beni! Dio ci ha ricolmati dei suoi doni. Chi non ne prende atto è come chi, avendo ricevuto un regalo preziosissimo, lo nasconde, anziché usarlo e rendere lode a chi glielo ha fatto. Il proverbio “L’ozio è il padre dei vizi” è valido, purché sia chiaro che non va considerato ozio curare le relazioni, pregare, contemplare Dio o la natura o l’arte, pensare agli altri…

È giustificata la paura di perdere il talento? La paura ha guidato le scelte del terzo servo. Ma la giustificazione è fuori luogo. Il Vangelo è pieno di “servi” che hanno perso i talenti ricevuti e che sono stati perdonati da Dio, dopo l’ammissione della colpa. Uno su tutti: il figliol prodigo che non solo non ha fatto fruttare, ma ha sperperato metà del patrimonio paterno. Don Mazzolari, nel suo commento alla parabola paragona il servo che ha nascosto il talento al fratello maggiore che non ha mai riconosciuto la bellezza e la preziosità del dono di Dio. La tentazione del terzo servo è molto forte in tempi di crisi come quelli che stiamo vivendo: cercare di salvare piccoli frammenti di fede nascondendoli, confinando la fede in gruppi chiusi, preoccupati solo di non sporcarsi le mani nel contatto con la realtà. Al contrario c’è bisogno dei talenti di tutti: un meraviglioso puzzle di pezzi differenti, per preparare quel futuro nuovo che l’umanità attende.

 Lidia e Battista Galvagno

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