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Alle armi che seminano distruzione e morte possiamo opporre l’azione di uomini di pace

Alle armi che seminano distruzione e morte possiamo opporre l’azione di uomini di pace

LETTERA AL DIRETTORE Gentile direttore, le immagini giunte da Gaza si sommano purtroppo ai tanti scenari apocalittici di città intere rase al suolo che negli ultimi anni accompagnano la nostra quotidianità. Kurt Vonnegut nel suo romanzo Mattatoio n. 5 scrive che «non c’è nulla di intelligente da dire su un massacro. Si suppone che tutti siano morti, e non abbiano più niente da dire o da pretendere. Dopo un massacro tutto dovrebbe tacere, e infatti tutto tace, sempre, tranne gli uccelli. E gli uccelli cosa dicono? Tutto quello che c’è da dire su un massacro, cose come Puu-tii-uiit? Ho detto ai miei figli che non devono, in nessuna circostanza, partecipare a un massacro, e che le notizie di massacri compiuti tra i nemici non devono riempirli di soddisfazione o gioia. Ho anche detto loro di non lavorare per società che fabbricano congegni in grado di provocare massacri, e di esprimere il loro disprezzo per chi pensa che congegni del genere siano necessari».

La mattanza nei kibbutz come quello perpetrato nei villaggi della campagna ucraina ci rimandano alla percezione che al cospetto di una tecnologia di guerra sempre più (si vorrebbe) chirurgica corrisponda una maggior crudezza nell’animo: i bambini cui i macellai di Hamas hanno sparato in faccia così come le vittime dell’artiglieria russa che spara sui civili al mercato ci riportano a un’età barbarica, in cui solo alla riduzione in deserto poteva essere assimilata la parola “pace”. Si ripropongono termini che pensavamo consegnati alla Storia, come la distinzione tra gli “uomini” e gli “animali uomini” riferita ai palestinesi che lascia sgomenti.

Quando la tempesta sarà terminata, queste rovine, che da luoghi sicuri sono diventati sepolcri, cosa saranno? Che ne sarà dei sopravvissuti, sradicati da casa e violati negli affetti, privati di acqua e di cure? Chi vuole davvero il male del popolo ebraico non è forse chi ha favorito la politica di nuovi insediamenti illegali a discapito della cadaverica teoria dei “due popoli per due Stati” anziché chi chiede che venga fermata una campagna che mentre cerca di estirpare un gruppo terroristico e mafioso non fa che alimentare l’odio e la frustrazione di quelli che saranno i futuri nemici?

 Roberto Savoiardo

Gentile Savoiardo, a più di un mese dall’attacco terroristico di Hamas, stiamo assistendo a un’escalation di atrocità e di vendette. Il fanatismo, che purtroppo spesso usa anche il nome di Dio, porta solo macerie e sofferenze per tutti. Non si tratta qui, come spesso si semplifica, di prendere le difese di un popolo rispetto a un altro, ma ribadire e, soprattutto agire, perché si costruisca un mondo dove si ripudi la guerra come strumento per la risoluzione delle controversie. Principio ribadito dalla nostra Costituzione. In casa nostra abbiamo più di un esempio: mentre la cristianità marciava al grido di “Dio lo vuole” in difesa del Santo sepolcro, il “poverello di Assisi” marciava e si faceva ricevere dal Sultano nel nome della pace; fino ai pacifici La Pira, don Milani e don Tonino Bello.

g.t.

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