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Ad Alba ci sono almeno venti persone costrette all’addiaccio

Per i senzatetto si potrebbe utilizzare un modulo della Misericordia Santa Chiara, con letti e servizi, ma non si riesce a capire dove piazzarlo

Ad Alba ci sono almeno venti persone costrette all’addiaccio

ALBA In questo periodo, di notte, le temperature scendono sotto lo zero e chi non ha un tetto cerca di ripararsi come può: contro il muro del sottopassaggio tra piazza Ferrero e corso Europa, nell’intercapedine tra i pilastri della nuova passerella della stazione dei treni, in una tenda posizionata lungo il torrente Cherasca; magari sotto i portici delle parrocchie di periferia e ovunque si riesca a improvvisare un piccolo rifugio lontano dagli sguardi delle persone, che dormono al caldo nelle loro case.

Anche Alba fa i conti con l’emergenza freddo, che come sempre riguarda gli “invisibili”. Sono soprattutto giovani uomini, spesso di origine nordafricana, arrivati da noi alla ricerca di opportunità lavorative. Alcuni di loro di giorno riescono a lavorare, ma si scontrano con l’irregolarità, gli stipendi troppo bassi e il muro di gomma di una città in cui affittare un alloggio è diventata un’utopia per molte persone. Figuriamoci per chi è straniero e, nella migliore delle ipotesi, può presentare come garanzia un contratto troppo breve per avere qualche valore.

Avverte Elisa Boschiazzo, assessora albese alle politiche sociali: «In questo momento, in base a quanto ci riferisce il Centro di prima accoglienza della Caritas, sono tra quindici e venti i senzatetto che dormono in rifugi di fortuna».

Spesso sono nomi e volti già noti, perché sono in zona da mesi. Magari, per certi periodi, hanno avuto sistemazioni provvisorie presso amici o connazionali, per poi ritrovarsi in strada. Altri sono arrivati più di recente, senza avere riferimenti. In città, l’unica porta aperta è quella del Centro di prima accoglienza della Caritas, la cui direzione è passata da don Gigi Alessandria a don Mario Merotta. In estate, per via di alcuni problemi di salute, don Gigi ha dovuto lasciare il luogo a cui ha dedicato tutte le sue energie per molti anni. Nel centro – che comprende anche la mensa che ogni sera serve una media di circa cinquanta pasti – sono 18 i posti letto del dormitorio. Si entra quando fa buio e si può restare per circa un mese, così da permettere di accogliere tutte le persone bisognose. Qui si cerca di costruire progetti personalizzati, per traghettare gli individui verso una situazione lavorativa e sociale più stabile.

Ma i posti non sono sufficienti e troppe persone restano fuori, con il freddo del- l’inverno. Riprende Boschiazzo: «La Caritas ha avanzato la richiesta di posizionare un modulo per ovviare alla situazione in via Pola: è una struttura mobile di proprietà della Misericordia Santa Chiara, utilizzato per le maxiemergenze, con posti letto e servizi. Purtroppo, come hanno verificato i nostri uffici, non è possibile posizionarlo nella strada, perché sarebbe necessario chiedere l’autorizzazione anche alle Ferrovie dello Stato, vista la poca distanza dai binari della linea Asti-Alba».

Il Comune ha poi proposto di sistemarlo in uno dei cortili della Cpaa, lo stesso dove quest’estate diverse persone si erano stanziate in modo abusivo, fino all’occupazione e al danneggiamento dei locali dell’associazione La carovana. «Non è forse la soluzione migliore, ma il bisogno riguarda questo preciso momento e come Amministrazione ci siamo resi disponibili a installare una telecamera nel cortile», dice Boschiazzo. Tuttavia, nel momento del sopralluogo, alla fine della scorsa settimana, è subentrato un problema: il mezzo non riesce a passare dal cancello d’accesso.

«I nostri uffici valuteranno la situazione e capiremo come procedere», aggiunge l’assessora. «Nel frattempo, tramite il progetto Prins, nato per intervenire a sostegno delle persone senza fissa dimora, stiamo monitorando le zone in cui trovano rifugio le persone in difficoltà. Nei mesi scorsi, abbiamo provveduto a una ripartizione di competenze con la Caritas: il Centro di prima accoglienza si occupa dell’emergenza e il Comune della seconda accoglienza, per chi ha già un lavoro».

Un discrimine, in realtà, spesso difficile da tracciare, per la precarietà delle occupazioni che svolgono i migranti. «Per esempio, lungo il Cherasca, ci è stata segnalata la presenza di una tenda. Era il rifugio di fortuna di un ragazzo, a cui abbiamo trovato una migliore collocazione». Il giovane lavora come rider, cioè consegna cibo a domicilio nelle case: di notte dormiva lungo il torrente.

Sul tema, nonostante i nostri tentativi, non ci è stato possibile avere risposte, chiamando via Pola.

Francesca Pinaffo

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