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Memoria per dare un futuro all’Europa

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POLITICA EUROPEA Abbiamo appena celebrato il Giorno della memoria in ricordo della Sohah, in una stagione della storia con il mondo e l’Europa alle prese con conflitti generati da una violenza che avevamo creduto appartenere al passato e stiamo imparando che invece siamo alle prese con un passato che non passa.

L’aggressione due anni fa della Russia all’Ucraina e, ormai oltre cento giorni fa, il massacro criminale di Hamas a Israele seguito dalla risposta senza umana proporzione del governo di Netanyahu contro il  popolo palestinese sono solo due dei recenti episodi di violenza che debbono  risvegliare la nostra attenzione sulla vita reale di questo nostro mondo.

E invece abbiamo chiuso gli occhi, chi sognando una pace che nel nostro continente era solo una tregua, chi dormendo tranquillo perché riteneva che  la guerra era una realtà lontana dai nostri confini. E così anche per l’Unione europea è venuta l’ora di un brusco risveglio, quello di cui abbiamo bisogno per affrontare il nuovo dopo-guerra che ci aspetta e fare memoria del progetto europeo, nato anch’esso in un altro drammatico dopo-guerra, per ritrovare la via della pace, senza più le illusioni che ci hanno accompagnato in  questi anni passati.

Ci ha aiutato a fare memoria, nonostante le reticenze di molti nelle nostre Istituzioni democratiche, il nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso del 26 gennaio, che si apre con una citazione di Primo Levi: «La storia della deportazione e dei campi di concentramento non può essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa».

Prosegue poi il presidente: «Le ideologie di superiorità razziale, la religione della morte e della guerra, il nazionalismo predatorio, la supremazia dello Stato, del partito, sul diritto inviolabile di ogni persona, il culto della personalità e del capo, sono stati virus micidiali, prodotti dall’uomo, virus che si sono diffusi rapidamente, contagiando gran parte d’Europa, scatenando istinti barbari e precipitando il mondo intero dentro una guerra funesta e rovinosa».

Tutto questo avvenne in Europa nonostante la lezione che, solo appena una ventina di anni prima, ci aveva impartito la tragica Prima guerra mondiale quando, come ci ricorda ancora Mattarella,  «L’uomo del Novecento – immerso nel tempo della ragione, della fiducia incondizionata nell’avanzamento della scienza, della cultura , della tecnica – mai avrebbe pensato di trovarsi di fronte a un tornante così tragico; mai avrebbe concepito la possibilità di una simile regressione: mentre si confidava – come veniva conclamato – in un’alba radiosa per l’umanità, si trovò improvvisamente precipitato nelle tenebre più fitte».

Non sembrerebbero  molto diverse le condizioni in cui abbiamo vissuto in Europa nei decenni scorsi, in particolare a partire da quel 1989 quando, con l’abbattimento del muro di Berlino, abbiamo creduto si aprisse una nuova stagione per l’Europa, più democratica e più grande. Purtroppo anche in questo caso non è andata così: l’Unione europea si è allargata ma senza che si rafforzasse la sua coesione, abbiamo affidato alle “magnifiche sorti e progressive” di leopardiana memoria il nostro futuro, facendo leva più sul mercato che sul fondamento della pace che è la giustizia, come ci ricorda l’art. 11 della nostra Costituzione, e abbiamo progressivamente disarticolato il tessuto di solidarietà dell’Unione e così, contrastata da movimenti nazional-populisti, «l’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra». Sono le parole che aprivano la Dichiarazione di Schuman del 9 maggio 1950.

Sono passati oltre settant’anni da allora, ma il messaggio è per oggi, se fossimo ancora capaci di memoria e se davvero volessimo dare un futuro all’Unione europea e alla pace.

Franco Chittolina

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