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Il Barbaresco avvolto nella copertina di Gazzetta d’Alba

Mille bottiglie del pregiato nettare, destinate al mercato nazionale e internazionale, saranno incartate con la prima pagina del giornale, che rappresenta la voce di questa terra e la sua cultura

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LA CANTINA «Sono nato e cresciuto fuori Milano da genitori di origini romane: a 21 anni sono partito per l’estero in cerca di esperienze che ampliassero i miei orizzonti e sono rientrato solo quando ne avevo 27». In questo modo inizia la storia di Stefano Campaniello, viticoltore insieme a Gabriele Testa, della cantina Morra Gabriele. I due giovani producono Chardonnay, Barbera, Langhe Nebbiolo e Barbaresco e hanno maturato un’idea: coinvolgere Gazzetta d’Alba in un’operazione mirata a rafforzare il legame dell’impresa con il suo territorio.

Spiega Stefano: «Le bottiglie più pregiate di vino, quelle che richiedono lunghi periodi di affinamento in cantina, vengono solitamente avvolte in una carta preziosa. Per questo motivo, invece di utilizzare i canali tradizionali, abbiamo pensato di ricorrere a un materiale simbolico, la carta del più importante elemento culturale dell’area, intriso di significati, storie e senso d’appartenenza alla comunità. È il nostro modo per raccontare le radici, chi siamo oggi e gli elementi a cui diamo davvero valore. Abbiamo perciò acquistato a un prezzo di favore mille copie del giornale: questa settimana ne utilizzeremo la copertina per avvolgere il nostro Barbaresco riserva. Sono mille bottiglie già vendute, che andranno al sessanta per cento all’estero. Non si tratta di un’operazione a scopo di lucro, ma nasce dal desiderio di diffondere il legame culturale con l’area. Il giornale per noi rappresenta la voce di questa terra, il contenitore che racchiude l’identità delle persone che abitano le colline che coltiviamo».

Il Barbaresco avvolto nella copertina di Gazzetta d'Alba

I due giovani vitivinicoltori si conoscono dal 2013. Stefano, prima di quella data, ha lavorato in mezza Europa: Francia, Spagna e Inghilterra. Per vent’anni è stato nella ristorazione, fino a quando un giorno, in un ristorante, ha incontrato Gabriele. Ne è nata un’amicizia, oltre alla passione per l’enologia, che ha portato a vinificare le prime uve. Oggi i due soci operano nel pieno rispetto della biodiversità.

Spiega Stefano: «La potatura e le lavorazioni del terreno sono scandite dalle fasi lunari, la difesa fitosanitaria è affidata soltanto a rame, zolfo e preparati naturali; i sovesci autunnali composti da leguminose, graminacee e crucifere (senape) ci permettono di arricchire il terreno di sostanza organica naturale e di aumentare la biodiversità, favorendo la presenza di insetti utili. Ci consideriamo osservatori della vigna, che ogni anno si comporta in modo diverso. Occorre assecondarla per arrivare a ottenere uve di qualità. La vite è una pianta rampicante, se non la si segue, diventa infestante. Una volta si toglievano le foglie e si esponevano i grappoli al sole, oggi bisogna cercare l’ombra e proteggere i grappoli a causa dell’aumento delle temperature e del cambiamento climatico. Perciò, la cima della vite nei nostri terreni non viene trinciata, ma arrotolata per creare una sorta di cappello, capace di produrre ombra sui grappoli».

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Stefano e Gabriele fanno parte delle nuove generazioni di viticoltori, che affrontano il cambiamento degli ecosistemi e devono escogitare nuove strategie di adattamento: «Con il caldo e l’assenza di pioggia lo zucchero delle uve matura più velocemente e si perde acidità. Il nostro Langhe Nebbiolo è prodotto con grappolo intero, per avere profumi più intensi e freschi, come la fragola di bosco. Oltre ad adattare le modalità di produzione al nuovo scenario è importante monitorare quanto sta accadendo al territorio, perché il rischio è che il contesto naturale diventi inospitale».

Ancora Stefano: «Per adattarci ai cambiamenti climatici sarà necessario cambiare i nostri sistemi agronomici, individuare nuovi strumenti e pratiche più sensibili all’ambiente. Ciò che è stato fatto fino a ieri non è detto sia replicabile: a mio avviso, è utile prendere il meglio dal passato e portarlo nel futuro. Ho vissuto sul mio corpo gli effetti delle sostanze utilizzate anche in aziende della zona con l’agricoltura che io definisco “intensa”. Non potevo trovare partner migliore di Gabriele per realizzare il mio sogno: i vini che beviamo devono essere autentici e il più possibile naturali».

 Maria Delfino

Morra Gabriele, già Pautasso vini

Il nome della cantina è, per l’esattezza, Morra Gabriele, già Pautasso vini dal 1880. Se deciderete di visitarla, non troverete tuttavia nessuno che si chiami Pautasso, né vi accoglierà Morra Gabriele (prima il cognome, come a scuola o sotto il militare quando ancora si faceva). Lo faranno invece due brillanti ragazzotti, Gabriele Testa e Stefano Campaniello, rispettivamente classe 1981 e 1983. Il Gabriele Morra dell’etichetta era il nonno del primo dei due; a suo tempo aveva rilevato una di quelle vecchie, tradizionali cantine piemontesi.

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I due giovani vitivinicoltori si sono conosciuti, per divenire poi soci, nel 2013: Stefano, nella ristorazione da tempo, era responsabile di sala di un’attività che aveva Gabriele come cliente. Oggi la cantina, che ha la sua sede principale a Macellai di Pocapaglia, proseguendo l’attività nel nome del mitico nonno, conta solo sui due giovani, ma si è ampliata ai terreni di Barbaresco.

Gabriele ama trascorrere il suo tempo in vigna, lavorando la terra e aiutando il terreno a mantenere il suo equilibrio; in cantina Stefano ha le idee chiare, lavora con lunghe fermentazioni, vasche di cemento e botti di legno di rovere con l’obiettivo di avere vini dai profumi intensi, eleganza e grande beva.

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