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Profondo umano ad Alba inizia dalle neuroscienze con Luca Bonfanti (INTERVISTA)

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Luca Bonfanti e Marina Orazietti. Foto di Marcato.

ALBA “Aspettando Profondo umano” è un festival che propone uno spazio di riflessione su temi di natura esistenziale e spirituale. Da quest’anno il programma prevede una nuova sezione a declinazione scientifica, grazie alla collaborazione con Marina Orazietti, già professoressa del liceo scientifico, e un gruppo di giovani. Il primo ospite è stato Luca Bonfanti, professore associato dell’Università di Torino e ricercatore del Nico (Istituto di neuroscienze). Ieri, mercoledì 17 aprile, un doppio appuntamento: alle 10 nella sala Ordet, in piazza Cristo Re, per gli studenti delle superiori; alle 21 nella sede dell’Associazione commercianti albesi, in piazza San Paolo, l’incontro aperto alla cittadinanza.

Come nasce la sua passione per le neuroscienze?

«Tutti vorremmo mantenere un cervello efficiente, giovane e possibilmente sano. È possibile farlo? La risposta viene dalle ricerche sulla “plasticità cerebrale”: la capacità del cervello di cambiare nel tempo. I circuiti nervosi vanno incontro a continue modificazioni e si generano nuovi neuroni, fenomeni che devono però conciliarsi con una sostanziale complessità e stabilità. Il cervello cambia sulla base delle esperienze. Ma a cosa può servire tutto ciò? Senza spingersi fino alla valutazione, anche etica, delle “tecniche di potenziamento del cervello”, conoscere questo tema ci consentirà probabilmente di riparare i danni cerebrali, ma soprattutto può rappresentare per ognuno una spinta a investire al meglio sul futuro».

Profondo umano ad Alba inizia dalle neuroscienze con Luca Bonfanti (INTERVISTA)
Foto Marcato

Com’è nata la sua passione per le neuroscienze?

«Fin da piccolo mi ha sempre affascinato la biologia. Molto presto mi sono avvicinato alla lettura con i romanzi di fantascienza. Poi, ai tempi del liceo, mi sono abbonato alla rivista Le scienze e in quegli articoli, talvolta troppo complessi, mi piaceva capire come gli scienziati affrontavano le grandi domande prive di risposta. Le neuroscienze le ho incontrate per caso: mi affascinava la complessità che si nasconde dietro il pensare e l’agire degli esseri viventi. Il vero amore è nato scoprendo la plasticità cerebrale e il fatto che l’organo più complesso dell’universo conosciuto possa cambiare continuamente sulla base dell’esperienza che esso fa».

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Foto Marcato

Come funziona la “plasticità cerebrale”?

«Il tema è quello dei cambiamenti strutturali e funzionali a cui può andare incontro il nostro cervello nel corso della vita, e di come ciò possa impattare sulla vita stessa. Alcune mutazioni avvengono nel giro di minuti, altre nel corso di anni. Il 17 aprile parlerò di come si studiano questi fenomeni e di come la ricerca abbia rivelato l’esistenza (e i meccanismi) di molteplici “tipi” di plasticità, da quella sinaptica (che modifica i contatti tra i neuroni già esistenti) alla neurogenesi (che può creare nuovi neuroni nel cervello adulto). Farò poi un accenno all’evoluzione della plasticità in diverse specie animali, uomo compreso, e a come questo possa portare a definire la nostra personalità e il nostro posto nel mondo».

Secondo lei, quali ricadute avranno sulla società le nuove scoperte delle neuroscienze?

«Le neuroscienze sono ormai iperspecializzate e ampiamente ramificate. Penso che le ricadute siano di due tipi. La prima consiste nello sviluppare nuove strategie per la cura delle malattie neurologiche e neurodegenerative, come l’Alzheimer, che rappresentano (e diventano sempre più) un enorme problema sanitario, sociale ed economico. Su questo fronte si procede lentamente, perché si va contro la scarsa capacità riparativa del tessuto nervoso, sostanzialmente incapace di rinnovarsi a causa di scelte evolutive. La seconda è la strada della prevenzione. Non solo nei confronti delle malattie (si sa ormai che uno stile di vita sano, in assenza di stress, in un ambiente ricco di stimoli e con possibilità di svolgere attività fisica, può ridurre l’incidenza di demenza senile), ma anche nel definire le condizioni ideali in cui il cervello giovane possa raggiungere la massima efficienza, per trovare un equilibrio con il mondo circostante».

Maria Delfino

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