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Sanità / Federico Riboldi: «Già 24mila prestazioni recuperate in Piemonte»

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Da sinistra: Roberto Cerrato e Federico Riboldi. Foto Malò

L’INTERVISTA Una delle criticità che maggiormente preoccupano i cittadini è la sanità: il Covid-19 ha lasciato ferite profonde, messo in evidenza lacune, scavato bilanci già in difficoltà. Oggi la situazione fatica ad allinearsi con la richiesta di prestazioni ambulatoriali, di accertamenti e risposte adeguate a problemi complessi come la gestione della cronicità.

L’incontro di martedì 8 aprile che ha visto protagonista l’assessore regionale alla sanità Federico Riboldi, primo appuntamento della rassegna “Un’ora con” a cura del centro culturale San Giuseppe, ha permesso di dare risposta a numerosi di questi quesiti.

Sanità / Federico Riboldi: «Già 24mila prestazioni recuperate in Piemonte»
Da sinistra: Roberto Cerrato e Federico Riboldi. Foto Malò

Intervistato da Roberto Cerrato, presidente dell’ente albese, Riboldi ha fornito un quadro esaustivo della sanità piemontese, indicando le prospettive di breve e medio termine. Cominciamo parlando di soldi. Il settore vale circa l’80 per cento dei 13 miliardi che lo Stato trasferisce alla nostra Regione. Potrebbe sembrare una cifra di tutta sicurezza, ma non basta a evitare che il bilancio annuale chiuda con un rosso che sfiora il mezzo miliardo. Per la nostra salute lavorano 60mila dei 67mila dipendenti complessivi della Regione.

«Abbiamo due problemi: i 125 milioni di euro che dobbiamo accreditare sul piano di rientro intestato al Ministero della sanità e i 200 milioni che ogni anno paghiamo alla Regione Lombardia perché si prende cura dei pazienti che sono attratti dai “grandi nomi” (Humanitas, Besta e altri) della sanità lombarda», ha sottolineato Riboldi. «In realtà anche la sanità piemontese genera delle attività contabili interessanti, ma il mito della “Sanità da bere” resta molto attraente. Senza queste remore potremmo fare molte più cose e realizzare progetti come, per esempio, ampliare molto le campagne di screening neonatale: una richiesta che ci sta molto a cuore».

Con quali prospettive, dunque, possiamo guardare al futuro della sanità pubblica in Piemonte?

«Ripartiamo con l’Azienda zero che, anche nelle intenzioni dell’assessore Icardi, ha la missione di fare ordine, razionalizzare, ottimizzare e dare sostenibilità alla nostra sanità. C’è un grandissimo lavoro da fare: dobbiamo informatizzare la sanità pubblica, razionalizzare i consumi dell’energia, la logistica, controllare l’efficienza dei fornitori, fare molta formazione, incrementare la produzione e valorizzare questo dato, verificare l’appropriatezza delle richieste e altro ancora. La situazione migliorerà anche grazie agli incontri settimanali che abbiamo con i direttori delle Asl del Piemonte. In questo modo la filiera si accorcia e cresce l’efficienza e la conformità del sistema. Dobbiamo mettere a sistema tutti questi fattori per puntare all’eccellenza, così come è stato fatto per l’ospedale di Verduno: gradevole, ben costruito e destinato a durare».

Per il cittadino è meglio un servizio pubblico o il modello privato, magari mediato da polizze e assicurazioni, a loro volta col privato?

«Sicuramente è da preferire il modello pubblico, anche se l’altro ha dalla sua un minore impatto della politica. Secondo il mio punto di vista, il privato dev’essere un accompagnamento: può essere complementare per alcune situazioni molto specifiche. Ma il privato non fa pronto soccorso o rianimazione. Non dimentichiamo che la sanità pubblica del Piemonte è la quarta in Italia dopo Veneto, Toscana, Provincia di Trento ed Emilia».

Cosa fare per intervenire con forza sulla riduzione delle liste d’attesa?

«Stiamo recuperando, nei primi due mesi del 2025 abbiamo erogato 24mila prestazioni. Occorre decisione e coraggio. Stiamo dimostrando, grazie al commissario dell’Azienda ospedaliera universitaria Città della salute di Torino, Thomas Schael, che in ospedale si può venire anche dopo cena o nel fine settimana. È una posizione divisiva, ma sta dando buoni riscontri».

Beppe Malò

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