Leggi razziali del ’38, una vergogna nata (anche) dal consenso del Paese al fascismo

Leggi razziali del ’38, una vergogna nata (anche) dal consenso del Paese al fascismo

ALBA Il documentario 1938-Diversi, presentato alla libreria La torre il 18 febbraio, in occasione della Giornata della memoria, è l’ultimo lavoro del regista Giorgio Treves, presente ad Alba per una due giorni che lo ha portato anche a scuola, a confrontarsi con i ragazzi del liceo Leonardo da Vinci. Il lavoro indaga, affidandosi a testimonianze eccellenti e alla voce narrante di Roberto Herlitzka, una pagina nera della storia patria: le leggi razziali e, in particolare, il processo storico che le rese possibili.

«Il produttore Roberto Levi», spiega Treves, «mi ha proposto l’idea e ho accettato perché ritengo che si tratti di un tema mai approfondito a sufficienza. Per me è stata l’occasione per appropriarmi di quegli anni e, certamente, anche per indagare una storia personale. La mia famiglia s’imbarcò da Genova per gli Stati Uniti nel 1940, come fecero tante famiglie ebree». Per chi scrive, l’originalità di questo lavoro va cercata proprio nel controllo e nell’equilibrio dimostrati dall’autore. Il racconto non è una memoria familiare, ad essa viene preferita la schiettezza di una ricostruzione dettagliata, un’indagine esaustiva del fenomeno, che guarda ai problemi di oggi e, senza scadere nella didascalia, parla alle nuove generazioni.

Continua il regista: «Non ho voluto utilizzare il documentario per proporre un discorso personale o biografico. A monte c’è stata una lunga preparazione storica, uno studio durato circa un anno. Volevo fare un discorso sulla discriminazione in senso lato, non un film a tesi. Come regista non possiedo una ricetta contro il razzismo ma credo che sia un fenomeno con cui la nostra società torna a fare i conti in questi ultimi tempi. Ci sono numerosi sintomi che suggeriscono di vigilare e conservare il ricordo di quanto è stato, così da evitare che la storia si ripeta. Spesso il razzismo mussoliniano è stato in parte scusato dagli storici, derubricato a errore strategico dettato dall’opportunità politica. Hitler richiedeva fedeltà all’alleato italiano, certo, ma l’identità fascista già si nutriva, era più che evidente dalla guerra di Etiopia, di un’euforia fanatica, di vaneggiamenti ad alta voce sulla necessità di ricostruire una nuova Roma e un’identità “latina”».

Treves punta il dito sul sistema scolastico del ventennio, innervato da una retorica che addomesticava i più giovani, spronandoli a un razzismo quotidiano: «Credo che uno degli aspetti più interessanti indagati dal documentario sia il controllo e l’influenza esercitati dalla propaganda sulle menti dei più giovani. Il fascismo si servì di tutti mezzi possibili per penetrare nel subconscio. Già da bambini si veniva invitati a familiarizzare con la nozione di razza, una retorica che preparò il terreno alle leggi razziali del 1938».

Non da ultimo, nel film si riflette con serietà sulla fiducia mal riposta da tanti intellettuali, anche ebrei, che cedettero al fascino del nazionalismo fanatico. Aggiunge ancora Treves: «Dopo l’unità d’Italia e l’adozione dello Statuto albertino, molti ebrei videro in Carlo Alberto un sovrano illuminato. Il riconoscimento da parte del neonato Stato italiano delle minoranze religiose convinse molti ebrei a partecipare attivamente alla vita pubblica. Furono in molti ad appoggiare il fascismo della prima ora, poiché quest’ultimo si richiamava a un sentimento di identità che non li lasciava indifferenti. Fatta eccezione per il gruppo di Giustizia e libertà, furono tanti gli ebrei che compresero in ritardo la violenza e la discriminazione contenute nella retorica fascista».

a.d.

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