Lasciati soli dalle istituzioni

ASSISTENZA L’innalzamento della vita media e dell’età pensionabile ci trasmettono l’immagine di una terza età diversa dal passato, più vitale e produttiva. Elementi certamente reali, che però non possono prescindere da una premessa essenziale: la salute.

Qualora questa venga a mancare infatti, ancor più in un periodo in cui la sanità pubblica è sempre più in crisi, la vecchiaia diventa spesso un momento di terribile sofferenza, per sé e per le proprie famiglie. Lo dimostra la storia di Maria, cinquantenne braidese che come tanti altri è costretta a fare i salti mortali per accudire la mamma malata.

È proprio l’assoluta “normalità” di questa vicenda, nella quale tantissime persone impegnate a fronteggiare le carenze del sistema pubblico e le difficoltà economiche si potranno riconoscere, a renderla terribile e a dimostrare che nel sistema Italia, in cui la popolazione diventa sempre più vecchia, qualcosa deve essere cambiato.

«La mia famiglia», racconta la signora Maria, «sta vivendo da anni una situazione tragica, da quando mia madre, che oggi ha 75 anni, si è ammalata di una malattia invalidante che l’ha resa non più autosufficiente ».

Dopo una vita di lavoro l’anziana signora si trova a vivere con una pensione di 500 euro, a cui si aggiungono altri 500 euro circa della reversibilità del marito defunto. Una somma non disprezzabile secondo i canoni odierni, davvero ristretti, ma di certo non sufficiente a garantirle l’assistenza di cui necessità. La famiglia stessa non è in grado di integrare le risorse e garantirle il soggiorno permanente in una struttura specializzata, i cui costi sono assai elevati.

Lo scorso anno la figlia attiva quindi le pratiche per il riconoscimento dello stato di invalidità della madre, che le viene riconosciuta dopo una prima incertezza. «Alla prima visita non ho potuto portarla perché avevo oramai esaurito ferie e permessi per assisterla e dall’Asl mi hanno fatto sapere che simili visite non potevano essere fatte a domicilio. Ho dovuto quindi fissare un secondo appuntamento per il mese successivo, al quale non siamo mancati».

Alle risorse dell’anziana si aggiunge quindi un assegno di accompagnamento di altri 500 euro circa, denaro che viene reinvestito dalla famiglia per pagare una badante («Ovviamente messa a posto con i libretti») che assista la donna per mezza giornata.

«Per le ore restanti l’assistenza viene fornita da me o da mio marito a seconda dei suoi turni di lavoro», spiega la signora Maria, che aggiunge: «D’altro canto non potremmo permetterci una badante a tempo pieno, a cui dovremmo offrire anche vitto e alloggio».

Ma i problemi non sono certo finiti: come è logico aspettarsi da una donna di 75 anni in gravi condizioni di salute, anche la nostra protagonista necessita con una certa frequenza di ricoveri in ospedale, seguiti da periodi più o meno dilatati di lungodegenza. Settimane in cui, come prevede la legge, l’accompagnamento non viene pagato, visto che l’anziana si trova in una struttura che la segue.

«Tuttavia, in quelle settimane non posso smettere di pagare i contributi alla badante, senza dimenticare l’assistenza notturna, che viene “consigliata” per pazienti che si trovano in quelle condizioni. Non sempre io o mio marito, lavorando entrambi, siamo in grado di passarle le notti e una badante costa dai 100 ai 120 euro a notte».

Il risultato di tutto ciò: una vita completamente dedicata all’anziana madre e un costante drenaggio di denaro. «Sia chiaro, io non rinfaccio nulla a mia madre. Faccio tutto volentieri per lei. Solamente sono stanca dell’indifferenza generale delle istituzioni e davanti a me non vedo che montagne da scalare».

Roberto Buffa

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