Barolo, produttore condannato per contraffazione di denominazione e falso

Il vino sta diventando sempre più globale 1

VINO  Si è concluso con una condanna, emessa dal Tribunale di Asti, il processo a carico del produttore Mario Giribaldi di Rodello: la pena è di sei di reclusione e 6mila euro di multa per i reati di contraffazione di Indicazioni Geografiche Tipiche, contraffazione di Indicazioni Geografiche e falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico. Nel 2017 i carabinieri del Nucleo Anti Sofisticazione di Alessandria avevano effettuato all’azienda agricola un sequestro per alcune decine di ettolitri di vino pronto a diventare Barolo delle annate dal 2013 al 2016 e bottiglie di precedenti annate, con l’accusa di aver effettuato le operazioni di vinificazione delle uve al di fuori del territorio tassativamente stabilito dal disciplinare: il vitivinicoltore, in base a quanto sostenuto dalla procura di Asti – nella persona del pubblico ministero Francesca Dentis -, avrebbe vinificato nella cantina di Rodello e non in quella di Barolo dove il vino è stato trovato.

In sostanza il vino ottenuto, sebbene non avesse i requisiti per rientrare nella Denominazione di Origine, è stato presentato come “atto a divenire Barolo DOCG” ed etichettato come “Barolo DOCG”; c’è di mezzo anche un riconoscimento ottenuto dall’Organismo certificatore, che sarebbe stato tratto in inganno da false dichiarazioni riportate sul registri di vinificazione dell’azienda. Un vino, quindi, con le caratteristiche del Barolo DOCG per materia prima utilizzata e procedura seguita, ma prodotto in violazione alle norme imposte dal Disciplinare di produzione. Giribaldi è il primo viticoltore ritenuto responsabile di aver violato le norme contenute nel disciplinare di produzione, introdotte dagli stessi produttori per qualificare e valorizzare il particolare prodotto di quell’area geografica. Una notizia che non poteva non destare l’interesse dei media; l’avvocato del barolista, l’astigiano Aldo Mirate, facendo riferimento a un servizio andato in onda stamattina sulle reti pubbliche, commenta: “Ritengo che la notizia data dal TGR Piemonte, per il suo tenore, sia diffamatoria, e, conseguentemente, ci riserviamo di proporre querela. Infatti neppure la Procura della Repubblica ha posto in discussione l’assoluta genuinità del prodotto e la sua provenienza da uve barolo prodotte da vigneti situati nella zona tipica; il problema, sul quale si è discusso nel processo, è stato esclusivamente se le uve predette siano state vinificate nella zona prevista dal disciplinare (circostanza che, a mio avviso, abbiamo ampiamente provato)”.

E sulla decisione del Tribunale astigiano aggiunge: “Riteniamo la sentenza di primo grado profondamente errata e stiamo preparando l’atto di appello, nella ferma convinzione che la Corte di Appello di Torino provvederà a riformarla.”

Il Tribunale astigiano ha inoltre disposto la confisca e distruzione dei Contrassegni di Stato e registri di cantina, sottoposti a sequestro nel corso delle indagini preliminari, di 258 ettolitri di vino atto a diventare Barolo DOCG di varie annate, e di 692 bottiglie di vino falsamente attestato Barolo DOCG per un valore complessivo di 270 mila euro. L’ipotesi di costituirsi parte civile nel processo da parte del Consorzio di tutela del Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, presieduto da Matteo Ascheri, era stata esclusa dal Consiglio in quanto la vicenda non era stata percepita come lesiva della reputazione dell’immagine dei produttori.

 

Adriana Riccomagno

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