Tutti i virus che infettano i telai della comunicazione

È vero. In questo momento, l’unico virus a dominare sulle pagine dei quotidiani e sugli schermi televisivi, oltre a creare apprensioni, psicosi e incubi agli italiani, è il coronavirus. Giustamente. E, quindi, non si dovrebbe parlare d’altro. Vista anche l’emergenza da epidemia, che ha costretto ‒ soprattutto al Nord ‒ a chiudere scuole, centri commerciali, cinema e teatri, oltre alle chiese e ai luoghi di culto per una settimana. Con gravissimi danni alla vita sociale del Paese. E, in particolare, alla già asfittica economia nazionale. Anche l’immagine dell’Italia nel mondo ne esce gravemente penalizzata per il primato negativo, tra le nazioni d’Occidente, del più alto numero di contagiati.

Fino a poche settimane fa ‒ ironia della sorte ‒ eravamo noi italiani a chiudere porti e frontiere, a impedire l’ingresso sul nostro territorio a stranieri e immigrati. Oggi, per una sorta di nemesi, sono gli altri a non volerci a casa loro. Né vogliono venire in Italia.   Trattandoci da appestati e rifiutando i nostri stessi prodotti, soprattutto gastronomici, ambite eccellenze in ogni angolo del mondo. Tra le ultime nazioni a bloccarci l’accesso c’è pure lo Stato d’Israele. Una chiusura, questa, che penalizzerà migliaia di pellegrini che, come ogni anno, si recavano a Gerusalemme per la Via crucis e i riti della Settimana santa.

Ma il coronavirus ha fatto pure esplodere divisioni e tensioni interne, tra Stato e Regioni, tra Nord e Sud d’Italia. Nonostante gli accorati appelli all’unità e gli inviti contro le «paure irrazionali e le azioni immotivate» del presidente della Repubblica Mattarella. E nonostante l’onnipresenza del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, da giorni in prima linea sul fronte della comunicazione, che si sta spendendo a gestire l’emergenza, tra cordoni sanitari e decreti-chiusura di scuole e luoghi di aggregazione. Tra Nord e Sud d’Italia s’è risvegliata una sopita rivalità. Con qualche rivincita da parte di chi, in passato, ha subìto offese razziste. Chi non ricorda “Forza Etna” o i cartelli sulle vetrine dei bar: “Vietato l’ingresso a cani e meridionali”? Tra il serio e il faceto, c’è ora una discriminazione al contrario: “Non si affittano case a lombardi e veneti”; oppure “Aiutiamo i settentrionali a casa loro”. Finora, i focolai d’infezione sono dislocati in tre regioni del Nord: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.

Ma non sono solo battute da social. A Ischia, un’ordinanza l’hanno fatta davvero. I sei sindaci dei Comuni dell’isola hanno vietato lo sbarco a lombardi e veneti. Oltre, naturalmente, ai cittadini cinesi provenienti dalle aree dell’epidemia. Divieto annullato dal prefetto di Napoli, Marco Valentini, perché «ingiustificatamente restrittivo nei confronti di una larga fascia della popolazione nazionale, e non in linea con le misure adottate dal Governo».

Da parte sua, il governatore Nello Musumeci, oltre a voler impedire lo sbarco di immigrati salvati in mare dalla Sea Watch 3, s’è pure lasciato sfuggire l’infelice espressione: «Meglio che i turisti del Nord non vengano in Sicilia». Scatenando, com’era prevedibile, l’ira degli stessi siciliani, a cominciare dagli imprenditori del turismo. In suo soccorso s’è precipitato il presidente dell’Assemblea regionale, Gianfranco Micciché, che ha derubricato le polemiche a un problema di comunicazione.  Aggiungendo, con toni rassicuranti, l’invito ai turisti a venire tranquillamente in Sicilia, perché «la situazione è sotto controllo dal punto di vista sanitario, e l’isola è una terra piena di bellezze».

Coronavirus: tende per differenziare l’accesso al pronto soccorso allestite anche ad Alba e Bra 1
La tenda per filtrare i casi sospetti montata all’ospedale di Alba

Dichiarazioni e smentite, però, che aumentano lo smarrimento e, spesso, l’angoscia dei cittadini. I quali non sanno se dar retta a chi alimenta paure e psicosi o a chi, invece, tende a tranquillizzare, derubricando il coronavirus a una normale influenza di stagione. A chi paventa una pandemia, nazionale e mondiale, o a chi annovera le vittime più che al virus all’età dei pazienti e alle loro gravi patologie già in corso. Come a dire che sarebbero morti comunque. Sul banco degli imputati, a torto o a ragione, sono finiti anche politici e operatori dell’informazione. Sia per strategie e interventi confusi o tardivi, sia per azioni di sciacallaggio, per trarre vantaggi da questa epidemia. Scontata, per tutti, la condanna delle fake news sui social, degenerati, talora, in atti di violenza contro cittadini cinesi, presi a sassate quasi fossero degli “untori”.

Sull’onda dell’emergenza, nella politica italiana, c’è chi ha speculato per un “esecutivo scialuppa” – come l’hanno definito – per imbarcare le forze al comando e quelle dell’opposizione in un Governo d’unità nazionale, purché si fissasse da subito una data certa per le prossime elezioni. In altre parole, un benservito al Governo, facendolo deflagrare assieme al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Ci hanno provato, in ogni modo, i “due Matteo” della politica italiana (Salvini e Renzi), in un’insolita e inquieta “alleanza”, ciascuno per propri interessi di bottega. Il disegno, al momento, è solo rimandato, causa virus.

Tutti i virus che infettano i telai della comunicazione
Il governatore della Lombardia Attilio Fontana

Anche perché i cittadini sono già perplessi per scelte, comunicazioni e gesti giudicati eccessivi o drastici. E, alla fine, allarmistici e controproducenti. Tipo la mascherina maldestramente indossata in diretta Tv dal governatore della Lombardia, Attilio Fontana. O, peggio, le assurde parole (s’è poi scusato) del governatore del Veneto, Luca Zaia che, riferendosi a una nostra presunta superiorità culturale e igienica, ha detto: «La Cina ha pagato un grande conto perché lì abbiamo visto tutti i cinesi mangiare topi vivi».  Ciò nonostante, ora, sono i cinesi a manifestare solidarietà all’Italia alle prese con il coronavirus.

In merito all’informazione, c’è chi vorrebbe attribuire ai giornalisti la causa di tanto smarrimento. Accusati di fomentare isteria e panico collettivo, con conseguenze gravissime anche per l’immagine dell’Italia nel mondo e l’economia nazionale, già in affanno di suo. L’informazione, certo, ha le sue responsabilità, soprattutto quand’è “fuori misura”, con toni enfatici e allarmistici. Piuttosto che fornire informazioni serie e responsabili che, con verità, approfondiscano e spieghino fenomeni complessi, quale l’epidemia in atto.

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Luca Zaia, governatore del Veneto

«I danni dell’informazione sono enormi», scrive il sociologo della Cattolica Mauro Magatti sul Corriere della sera (29 febbraio 2020), «soprattutto quando alimentano l’odio e la divisione. Dobbiamo sapere che è e sarà così. Un motivo in più per lavorare senza sosta per rafforzare l’educazione delle persone, la qualità delle informazioni che circolano, intervenire per isolare e sanzionare chi diffonde false notizie e specula sulla paura». Accanto all’epidemia – aggiunge Magatti – siamo stati investiti dalla infodemia, cioè da un eccesso di notizie, non vagliate accuratamente, che non aiutano a capire e generano paure, ansie e allarmismi.

Ma se dall’epidemia coronavirus, col tempo e con un vaccino – come tutti speriamo – se ne verrà fuori, ce ne sono altre che si stanno diffondendo, difficili da debellare. Al momento, non sono nel mirino dei mass media, tutti concentrati sull’emergenza coronavirus. Ma non bisogna abbassare la guardia, perché la posta in gioco è altrettanto alta. E i rischi notevoli, per scarsità di vaccini culturali e sociali. Nonché politici. Si tratta del virus dell’odio razziale, dell’antisemitismo e di ogni forma di discriminazione. «L’antisemitismo», ha detto il presidente del Parlamento europeo, Davide Sassoli, «è un virus che attraversa non solo l’Italia ma anche tante strade d’Europa».  Solo di recente, il 17 gennaio scorso, l’Italia s’è allineata a diverse nazioni d’Europa, tra cui Germania e Francia, nominando il primo Coordinatore nazionale per la lotta all’antisemitismo. Si tratta della professoressa Mirella Santerini, esperta di Shoah, da anni impegnata in questo ambito.

Negli ultimi tempi, sui “telai della comunicazione” (una bella espressione di papa Francesco), sono stati tessuti fili di storie distruttive e aberranti. In una serrata sequenza, a livello nazionale e internazionale, da creare una crescente preoccupazione. Gesti inqualificabili, frutto di arroganza e povertà culturale, come le svastiche, le scritte antisemite e gli insulti alla senatrice Liliana Segre, una delle poche sopravvissute ai campi di concentramento nazisti.

Tutti i virus che infettano i telai della comunicazione 1

Episodi che si sono ripetuti in diverse città italiane, da Mondovì a San Daniele del Friuli a Torino: svastiche e stella di Davide, appunto, a segnalare le case dove vivono degli ebrei; scritte e cori che invitano a “calpestare l’ebreo” o a “fare la stessa fine di Anna Frank”; “pietre di inciampo” imbrattate e divelte dalle case dei deportati; messaggi razzisti su WhatsApp da parte di minorenni che partecipano alla chat “The Shoah party” inneggiante al nazismo; insegnanti che, immemori dell’immane tragedia, chiedono a superstiti dei lager com’erano organizzate le scuole ad Auschwitz o, che riferendosi a Liliana Segre, dicono di non sopportarla perché «è in cerca solo di pubblicità»; infine, la recente strage di turchi ad Hanau, in Germania, per mano di un giovane tedesco, accecato dall’odio razzista e xenofobo, convinto che «alcuni popoli, che non si possono più espellere dalla Germania, devono essere annientati».

D’altronde, un recente rapporto Eurispes segnala che un italiano su sette (il 15,6 per cento) ritiene che l’Olocausto non sia mai accaduto. E tra quelli che ammettono che la Shoah sia esistita, il 16 per cento circa afferma, però, che «non avrebbe prodotto così tante vittime come viene sostenuto».  Dati che hanno fatto affermare a Liliana Segre: «È molto più facile credere che l’Olocausto non sia avvenuto, piuttosto che ammettere che un uomo possa arrivare a fare cose così indicibili».

Quale vaccino a tanto odio razzista e antisemitismo? In provincia di Torino, contro le scritte antisemite, il parroco di San Giacomo apostolo, don Ruggero Marini, ha scritto sulle porte della chiesa: “Juden hier! Qui abita un ebreo: Gesù”. E contro chi soffia sul fuoco, con l’indulgenza di politici di destra, la presidente delle comunità ebraiche in Italia, Noemi Segni, ha detto: «Bisogna affermare e capire, una volta per tutte, che le parole di odio non sono libertà d’espressione del pensiero, ma violenza annunciata; che questi movimenti, fatti di gruppi o singoli, vanno definiti come terroristi e non sono libere associazioni».

Appello fatto proprio dal ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, che vede nell’odio l’emergenza del nostro Paese. «La politica tutta», ha detto, «ha bisogno di un’igiene delle parole e dei comportamenti. Anche perché la mancanza di igiene e la progressiva assuefazione all’odio hanno già prodotto come effetto l’indifferenza». Quello stesso “vento gelido dell’indifferenza”, un’epidemia forse più pericolosa del coronavirus, che ha spinto il giornalista Gad Lerner a un’amara considerazione: «Per chi ancora si chiede come sia stato possibile riscuotere, al tempo dei nostri nonni, un’adesione convinta della maggioranza degli italiani alle leggi razziali fasciste, la risposta è: guardatevi intorno in questi giorni».

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Parlando a studenti e insegnanti, la senatrice Segre li ha invitatati a essere «sempre vigili nel respingere i pericoli del razzismo, dell’antisemitismo, della xenofobia che, purtroppo, ci sono ancora oggi; si nascondono tra noi e intorno a noi».  E il presidente Mattarella, nella sua recente visita a Sant’Anna di Stazzema (luogo dell’eccidio nazista con 560 vittime), mettendo in risalto il valore della memoria, ha ammonito: «Il germe dell’odio non è sconfitto per sempre. Il timore del diverso, il rifiuto della differenza, la volontà di sopraffazione, sono sentimenti che possono ancora mettere radici, svilupparsi e propagarsi». Timori espressi anche da papa Francesco, nell’incontro delle Chiese del Mediterraneo a Bari, il 23 febbraio scorso: «Qualche discorso di alcuni leader delle nuove forme di populismo rievocano discorsi che seminavano paura e odio nella decade degli Anni ’30 del secolo scorso». Ce n’è abbastanza per non doversi preoccupare.

Ammoniva lo scrittore Primo Levi, sopravvissuto al lager di Auschwitz: «Attenzione, perché è avvenuto e può avvenire di nuovo».

Razzismo e Cristianesimo non si conciliano neanche a Natale 4

Antonio Sciortino, già direttore di Famiglia Cristiana e attualmente direttore di Vita Pastorale

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