Sono gli eroi dei nostri giorni. Qualcuno li ha segnalati al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per un riconoscimento. Il settimanale Time ha dedicato loro un numero intero e la copertina, definendoli “eroi in prima linea”. Papa Francesco li ha chiamati “i veri eroi”, non per la fama, il successo o i soldi, ma perché si sono esposti con coraggio, a rischio della vita, per combattere la pandemia da coronavirus e salvare gli altri. O per garantire i servizi essenziali, dal cibo alle medicine, per tutti noi segregati in casa. Sono medici, infermieri, farmacisti, Forze dell’ordine, militari, volontari…
Ma anche sacerdoti e religiosi che, pur avendo chiuso le chiese, non hanno abbandonato il popolo. Più di cento preti, al momento, sono morti per stare accanto alla gente. Hanno contratto il virus in servizio pastorale, consolando malati e morenti. O per l’ultima benedizione alle salme avviate ai cimiteri, in totale solitudine. Papa Francesco li ha definiti “i santi della porta accanto”. Sacerdoti straordinari, noti e meno noti, di ogni età: dal giovane quarantacinquenne al più anziano ultracentenario. Da don Fausto Resmini, 67 anni, il “prete degli ultimi e degli indesiderati”, cappellano del carcere di Bergamo, a don Giuseppe Berardelli, 72 anni, parroco bergamasco, che ha ceduto il suo ventilatore a un malato giovane, con più speranze di guarigione.
Non sono state da meno le suore, colpite duramente dalla pandemia. Numeri, per ora, incompleti. Ma diverse decine di religiose sono decedute non solo nei loro conventi, ma anche in servizio nelle strutture ospedaliere e di assistenza all’esterno. Quando la mappa sarà completa, avremo di fronte un quadro desolante. E una Chiesa più povera di tanti “fedeli e fedelissime testimoni” del Vangelo.
È stata una Pasqua insolita, questa del 2020. Senza popolo e a porte chiuse. La Chiesa, responsabilmente, s’è fatta carico delle sofferenze e delle difficoltà del Paese. Per il bene comune e la salvaguardia della salute di tutti. Una Pasqua segnata dalla dirompente forza dei gesti di Francesco. In una piazza San Pietro desolatamente vuota, con un silenzio irreale. Spezzato solo dai rintocchi delle campane e, in lontananza, dalle sirene di qualche autoambulanza. A ricordare il travaglio di chi, negli ospedali, lotta contro un nemico infido e implacabile. O muore intubato, nella totale solitudine, senza una stretta di mano o una carezza familiare. Col terrore negli occhi e la sola pietà di medici e infermieri a consolarlo.
Una piazza deserta, quella di San Pietro. E accanto al Papa due sole presenze, testimoni di un’umanità dolente e ferita: il crocifisso miracoloso di San Marcello al corso, bagnato dalle “lacrime del cielo”, e l’icona della Vergine Salus populi romani. Ad accogliere le preghiere, ma anche la denuncia di Francesco: «Avidi di guadagno, non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato».
«La furia del coronavirus mostra la follia della guerra», ha detto il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, invocando un immediato “cessate il fuoco” nel mondo. E Francesco, da parte sua: «Non è questo il tempo in cui continuare a fabbricare e trafficare armi, spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone e salvare vite». Tanto meno è il tempo dell’indifferenza e degli egoismi. Un pensiero rivolto all’Europa e alla “sfida epocale” del momento. Un’Europa nella quale è necessaria una “unità fraterna” tra le nazioni. Come l’hanno sognata i padri fondatori.
Si ferma l’economia civile, ma quella “incivile” continua a lavorare. «Quanti posti letto potremmo realizzare con un solo giorno di spese militari in Italia, pari a 68 milioni di euro? Quanti respiratori con il costo di un solo F35, pari a 150 milioni di euro?». Se l’è chiesto monsignor Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi. «Da diversi anni si sono abbattuti tagli considerevoli sulla sanità. E mai, però, una coraggiosa messa in discussione sulle spese militari». Ha poi aggiunto: «Questo ci fa capire quanto sia stupido pensare a un mondo che costruisca il suo futuro intorno alla paura dell’altro. All’idea di difendersi dagli altri, che ci sono nemici dappertutto, per cui la strada è quella di armarsi, sottraendo risorse per la scuola, la sanità, la giustizia sociale».
Ma c’è un risvolto della medaglia. Se per il filosofo polacco Zygmunt Bauman, Francesco è «il dono più grande offerto dalla Chiesa cristiana al mondo contemporaneo», la più importante personalità, se non l’unica, in grado di «salvare l’umanità dalla minaccia del disastro», per altri è vero il contrario. Anzi, le sue parole e i suoi insegnamenti su pace e giustizia sociale “danno fastidio”. Diversi gruppi di potere religiosi, economici e politici lo considerano un “pericoloso rivoluzionario”. Una parte di Chiesa, tra lobbies e sovranisti, complotta contro di lui. Per metterlo in difficoltà; vorrebbero che si dimettesse. Per loro è una “brutta parentesi”, da chiudere quanto prima. In vista c’è il prossimo conclave, da condizionare fin d’ora, per evitare un “Francesco II”.
L’ha dimostrato molto bene il programma di Rai 3 Report, la sera di lunedì 21 aprile scorso. Una fronda, non solo italiana, accusa il Papa di eresia, di tradimento della Chiesa cattolica e di comportarsi da leader della sinistra internazionale. Ma non solo. Non poteva mancare, in questi tempi, anche l’accusa per la pandemia Covid-19. Sarebbe, questa, una “punizione divina” per l’idolatria di Francesco verso la “Pachamama”, la statuetta amazzonica introdotta nel cuore della cristianità, a San Pietro. Una grossolana assurdità, liquidata da un allibito Sigfrido Ranucci, conduttore di Report: «Sentire che Bergoglio è la causa del virus è un’esperienza che sinceramente ci mancava!».
Le tesi di Report hanno trovato piena coincidenza in un volumetto, appena uscito, di Sergio Paronetto, dal titolo emblematico: Papa Francesco: l’uomo più pericoloso al mondo (edizioni La Meridiana). Perché tanta mobilitazione e furia distruttiva nei confronti del Papa? Per Paronetto, già vicepresidente di Pax Christi, il vero bersaglio dei nuovi inquisitori, “cristiani senza Cristo”, è il concilio Vaticano II (considerato “un grande male”), che Bergoglio sta rilanciando nelle sue linee ispiratrici: dal concetto di popolo di Dio alla scelta preferenziale per i poveri.
Quelli che lo attaccano non sono tantissimi, anche se molto aggressivi e ben organizzati. «Il loro assalto è travolgente», evidenzia Paronetto. «Proviene da fronti diversi: quello tradizionalista ecclesiastico; quello nazionalista etno-religioso; quello reazionario di matrice neofascista; quello progressista e iperliberista legato alla religione della prosperità e alla cultura dello scarto». E ancora: «Alcuni si sentono disorientati forse perché preferiscono strutture imbalsamate, magari rosari sventolanti sulla folla o crocifissi branditi come armi politiche. Altri sono nostalgici della cristianità basata sull’alleanza tra trono e altare». A rispolverare il trinomio “Dio, patria e famiglia”, tanto caro ai nostri leader sovranisti Matteo Salvini e Giorgia Meloni.
In estrema sintesi, queste le accuse a Francesco: «È gesuitico, sconcertante, inquietante, relativista, modernista, permissivo, amorale, populista, peronista, pauperista, esibizionista, seminatore di dubbi, eretico, anticristiano». E, allo stesso tempo, vengono definite “amenità” il rispetto del creato, la lotta alle narcomafie, l’amore per i poveri, la giustizia e la pace. Molto disturba la sua denuncia di un mondo ingiusto, della “idolatria del denaro”, della “cultura dello scarto”, della “follia delle guerre”. «Il Papa attuale è abusivo», sentenzia il giornalista Antonio Socci. E si spinge a dire: «Noi cattolici stiamo con don Matteo Salvini».
A dar man forte agli oppositori di “casa nostra” ci sono potenti lobbies americane. Con milioni di dollari investiti in campagne mediatiche e per finanziare gruppi sovranisti europei anti-Francesco. Un vero “ecumenismo dell’odio”. Ne parla un libro del vaticanista di La Croix, Nicolas Senèze: Come l’America vuole cambiare Papa? «È negli Stati Uniti che opera il centro dell’opposizione politica, teologica e finanziaria al pontificato di Bergoglio», scrive Senèze. E Steve Bannon, già consigliere di Donald Trump, n’è uno dei più noti alfieri. Con l’appoggio di alcuni cardinali, vorrebbe aprire una scuola politica nella certosa di Trisulti, nel Lazio. Una “Accademia dell’Occidente giudaico-cristiano”, da schierare contro papa Francesco.
Sarà per tutto ciò, forse, che Francesco chiede sempre a tutti di pregare per lui: «Il Papa è tentato, è molto assediato: solo la preghiera del suo popolo può liberarlo». Nonostante la “critica delle pillole all’arsenico” dei suoi avversari, Francesco è amato da un popolo immenso. Più di diciassette milioni e mezzo hanno seguito la sua preghiera in piazza San Pietro, in diretta televisiva, il 27 marzo scorso. Una moltitudine di credenti e non credenti trova in lui ragioni di speranza. Sono loro a dare corpo alla “svolta profetica” di Francesco e del suo pontificato. Indietro, da questa “Chiesa in uscita”, non si torna. Anche se il cammino è accidentato. Fin troppo.
Antonio Sciortino,
già direttore di Famiglia Cristiana e attualmente di Vita Pastorale