LETTERA AL GIORNALE «Finisco stasera e domani ti mando l’ultima parte su san Rocco». Sono queste le ultime parole che mi ha detto don Renzo Costamagna, martedì 29 settembre, condite dall’immancabile sorriso su quel volto pacioso che sapeva infondere serenità.
Purtroppo, il giorno dopo per don Renzo non c’è stato e quel capitolo rimarrà incompleto. Ci saranno tre pagine vuote nel libro che stavamo scrivendo, da maggio, sul passaggio delle epidemie in Langhe, Roero e Monferrato, per la fondazione Radici. A don Renzo toccava la parte storica, quella storia a cui dedicava il tempo libero e che amava quanto il Toro, una passione, quest’ultima che ci accomunava.
Era nata così una collaborazione che mi ha portato a frequentarlo quasi ogni giorno, negli ultimi quattro mesi e a conoscerlo di più e meglio. Aveva dedicato molte serate a questo libro con la passione che lo animava e io sono rimasto contagiato dal suo entusiasmo.
Mi aveva colpito il suo approccio alla storia: non era uno che si concentrava sugli eventi “più importanti”, la sua era una ricostruzione umana più che storica. Una ricostruzione attraverso i racconti delle persone e delle piccole comunità, per raccontare la Storia, con i suoi fatti tragici o gioiosi. Non era un vezzo il suo, ma il modo di essere di una persona coerente che all’uomo, specie quello più sfortunato, aveva dedicato la vita.
Per lui era naturale aver pensato un’iniziativa come il “Pane di san Teobaldo”. Dopo aver parlato con i titolari del Forno di Bosio aveva preso a raccogliere il pane invenduto e donarlo a chi non poteva comprarlo. Mi son sempre chiesto cosa ci fosse di più cristiano del distribuire il pane ai poveri. Nulla probabilmente, ma lui diceva sempre: «Non di solo pane vive l’uomo», quindi aveva trovato il modo di arricchire i pacchi dono con pasta, cibo in scatola, cioccolatini. Trascinati dal suo entusiasmo i parrocchiani lo avevano seguito e aiutato. Mostrava a tutti, con orgoglio, la macchina donata dall’imprenditore Bruno Ceretto per la raccolta del pane.
Per don Renzo era naturale aprire la porta di casa a chiunque e a qualsiasi ora, vederlo, come l’ho visto la settimana scorsa, cercare materassi e coperte per due ragazzi arrivati in città per la vendemmia. Per lui era naturale quello che per noi è difficile: vedere Dio nel prossimo e comportarsi di conseguenza. Don Renzo lascia un vuoto nelle persone che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e apprezzarlo.
In questi giorni avevamo discusso della presentazione del libro che stavamo scrivendo. Lo avrei immaginato al fianco mio, di Claudio Rosso, Bruno Murialdo e Silvio Rolando, a fare battute su “Quel gobbo in prima fila” o su quella volta che suonò le campane del duomo per festeggiare la sconfitta della Juventus in Champions league. Lui non ci sarà, ma ci saranno le sue parole, la sua umanità, i suoi atti di generosità, ci sarà il suo esempio a indicarci la strada da seguire. Riposa in pace don Renzo, forza Toro.
Marcello Pasquero