Scopriamo il significato del termine piemontese “Stërnìa”

Scopriamo perché il preventivo viene detto "Paciàra" in piemontese

Stërnìa: strada acciottolata, selciata, lastricata, solitamente in pendenza

E ȓ’heu pì da fé che dëȓ fàt” (ho più cose da fare, che cose fatte); dice così chi è nelle curve e allude a quanta strada debba ancora percorrere prima di risolvere una situazione (o sé stesso).

Oggi parliamo sì di strada, ma una strada ben più concreta e pragmatica. Si tratta della stërnìa, un percorso tracciato, pavimentato con le pietre, elemento naturale tipico, atavico ed eterno. La Pietra di Langa, ecco il materiale prediletto per un’ottima pavimentazione della stërnìa grazie alla sua forma, alla sua resa, alla sua utilità che fanno di lei un elemento di straordinaria saggezza e spiritualità.

Normalmente in salita, la stërnìa è una strada che si trova in quasi tutti i paesi di collina o montagna. Il selciato serviva a garantire la presa agli zoccoli degli animali da soma, puntando essi il loro passo tra le fughe delle pietre. La stërnìa poi può essere fatta da ciottoli di fiume arrotondati – anasson – oppure pietre squadrate posizionate a coltello nel terreno per non far fermare troppo tempo la neve e il ghiaccio, permettendo così una percorribilità a uomini e animali durante tutto l’anno, mi vien da dire sin da prima del Medioevo.

Perché la stërnìa si chiama così? In piemontese continua uno dei suoi significati latini di STERNERE, ossìa stendere, spianare, selciare, spargere la lettiera. Pensiamo quando si dice in italiano “una landa sterminata”, s’intende pianeggiante a perdita d’occhio; così come lo sterno è l’osso piatto del torace. Stessa cosa vale per la pietra della stërnìa: piana, sebbene non in piano. Sapete invece che quando qualcosa ha uno scarso valore, si chiama sternàj. E bene, questa parola arriva dallo scarso valore del ciottolo di cui sopra. C’è da divertirsi con le parole.

Al di là della stërnìa, ma sempre sulla pietra, mi vengono in mente due persone che hanno saputo maneggiarla a regola d’arte. Uno è don Tòjo, che abbiamo salutato qualche settimana fa: maestro, tra il resto, dei muretti a secco. L’altro, vivo e operativo, è Remo: artista con le parole e con le pietre del Belbo; sa trasformarle in veri e propri totem carichi di energia positiva.

Paolo Tibaldi

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