Vita di un precario nella città della gastronomia Unesco

Cassa integrazione, corrispondente a un terzo della retribuzione ordinaria, erogata molte volte in ritardo

Vita di un precario nella città della gastronomia Unesco

LAVORO Michelangelo ha trent’anni e vive ad Alba. Lavora nell’ambito della ristorazione dal 2008: una lunga esperienza per la sua giovane età. L’anno scorso, quando è iniziata l’emergenza Covid-19, sono iniziate anche per lui le prime difficoltà. Racconta: «Avevo un contratto a tempo determinato: due giorni prima dell’inizio del lockdown, è arrivato a scadenza. Per sei mesi ho avuto accesso all’assegno di disoccupazione». Prosegue il giovane: «A settembre il ristorante mi ha di nuovo assunto, ma il 20 dicembre sono rimasto nuovamente a casa. Ora, in concomitanza con l’entrata in vigore del nuovo decreto, ho potuto ricominciare».

Da dicembre a oggi, Michelangelo ha usufruito della cassa integrazione: «Cinquecento euro al mese, un terzo rispetto a quanto guadagnavo prima; quasi sempre erogati con due o tre mesi di ritardo. Senza la stabilità offerta dall’impiego della mia compagna, sarei dovuto tornare dai miei genitori».
Nell’ultimo anno si è parlato molto dei proprietari di bar e ristoranti in difficoltà economica a causa della pandemia; ci si è soffermati poco, invece, su chi è alle loro dipendenze. Secondo il giovane, i datori di lavoro «stanno tentando di rifarsi su di noi per compensare i mancati introiti. Certamente i ristori sono stati insufficienti, ma cosa dovremmo dire noi dipendenti? Nessuno ci ha diminuito il canone d’affitto e non abbiamo ricevuto sconti sulle bollette. Al contrario, in questo periodo il costo della vita è aumentato. Senza stabilità economica non c’è futuro per noi».

«Lavoratori della ristorazione tra le categoria meno tutelate» dice Michelangelo

Il ragazzo individua le radici del problema nel passato: «Molti operatori della ristorazione hanno accettato contratti di ogni tipo, alcuni da manuale del precariato, con gravi conseguenze. D’altronde c’è una grande abbondanza di manodopera e la fila per sostituirti. Anche se si tratta di lavorare in nero».
Dalla premessa, Michelangelo trova nella mancanza di rappresentatività sindacale il nocciolo della questione: «I comparti di turismo e ristorazione, in Italia, sono tra le categorie con più addetti e, paradossalmente, sono tra le meno sindacalizzate; siamo tartassati e poco tutelati. Siccome la crisi non possiamo pagarla soltanto noi lavoratori, dobbiamo farci sentire e rispettare di più».

Davide Barile

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