Lettera al direttore. Perché non parlare di autarchia?

No all’aumento delle accise sui carburanti

LETTERA AL GIORNALE La globalizzazione ha portato con sé una nuova lingua, ricca di neologismi politicamente corretti e di terminologie fluide, valide a cancellare identità, memoria, tradizioni. Altri concetti, invece, li ha depennati perché dannosi e/o desueti.

Per esempio, le ultime generazioni a fatica trovano sul vocabolario il termine “autarchia”: un indirizzo di politica economica che, sfruttando le risorse proprie di uno Stato, tende a renderlo autosufficiente e quindi economicamente indipendente dai Paesi esteri. Mai come oggi, ci rendiamo conto di quanto necessarie e fondamentali fossero politiche di questo genere, capaci di rendere autonomi e non ricattabili.

L’Italia, a partire dal Dopoguerra e con il suo apice nella spinta amorosa verso l’Ue, ha scelto di percorrere la strada opposta, ripudiando nei fatti ogni logica di sovranità energetica, alimentare, produttiva. Mancanti di lungimiranza, abbiamo creduto che la pace fosse intoccabile e che il globalismo fosse panacea di ogni problema; i nostri Governi si sono crogiolati nell’indolenza. Non solo non hanno investito in politiche autarchiche, ma hanno ritenuto di non dover tutelare il loro interesse nazionale in nessun campo strategico. Ed ecco che la nostra richiesta interna di grano, che era autosufficiente, è divenuta dipendente dai granai dell’Est.

Abbiamo scelto, contro il nostro interesse nazionale, di dire no all’energia nucleare (salvo comperarla dalla Francia), di non investire sull’estrazione di gas dai giacimenti in pianura Padana e dai grandi giacimenti dell’Adriatico, in Basilicata e, in misura contenuta, in Sicilia. Siamo rimasti immobili persino quando la Turchia si è appropriata della nostra area d’influenza in Libia, escludendoci da rifornimenti petroliferi. Siamo stati accondiscendenti quando cinesi, statunitensi e gli stessi russi hanno messo le mani e i capitali sui nostri settori industriali strategici. Oggi, di fronte a scenari di guerra e complicazioni di enorme rilievo, paghiamo il dazio della nostra cecità. L’essere dipendenti economicamente, ci mette nella posizione di non poter scegliere il nostro destino. L’autonomia politica, cioè la possibilità di una politica estera indipendente, non si può concepire senza una correlativa capacità di autonomia economica.

Per queste ragioni, nel futuro prossimo, rischiamo di essere non solo molto più poveri, ma anche di non avere alcuna voce in capitolo nello scacchiere internazionale.

Di fronte al fallimento del sistema globalista e nella speranza di una risoluzione pacifica del conflitto in corso, l’Italia e la sua politica torni a pensare al futuro prima che al presente. Si torni a credere in un progetto di Paese migliore, non già per noi o per i nostri figli, quanto per i nostri nipoti. Mi torna in mente, a tale proposito, una citazione di Winston Churchill: «Il politico diventa uomo di Stato quando inizia a pensare alle prossime generazioni invece che alle prossime elezioni».

Paolo Radosta

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