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Sulla sanità piovono euro, ma mancano medici e infermieri

Medici specializzandi, la Regione in contatto con l’università

IL REPORTAGE «Vivo a Torino. Ho perso la nonna a causa del Covid-19. Non l’hanno curata in tempo, reputando “non urgente” la sua situazione. Era urgente, invece, eccome! Questi due anni hanno cambiato tutto, la sanità in alcuni momenti sembrava avere dimenticato tutte le altre patologie e i problemi per concentrarsi sulla pandemia». Sono parole di Mirella, un’albese di 33 anni. Aggiunge Andrea, 52 anni, di Mussotto: «Per avere tempi di risposta rapidi per la salute è necessario ricorrere al privato. Ma servono soldi. E non tutti li hanno. Io, per esempio, quest’anno non ho prenotato una visita dermatologica per mancanza di disponibilità economica. Volevo controllarmi un neo. Se fosse stato qualcosa di grave, che cosa sarebbe successo?».

Ma non ci sono solo voci negative: «All’ospedale ho trovato molta buona accoglienza», dice Bruna, di Diano. «Penso che siamo fortunati a vivere nel tempo odierno. L’oculista mi ha trovato un “buco” sulla retina. Qualche decennio fa avrei rischiato la vista. Oggi, con un piccolo intervento di 10 minuti con il laser, ho risolto. Sono grata per questo».

Le testimonianze sollevano domande sul presente e sul futuro. Quali sono le opportunità, i limiti, le fatiche della sanità? Secondo una ricerca pubblicata da Ires Piemonte, per quasi un piemontese su cinque (circa un milione di persone) la principale preoccupazione riguarda «i servizi sanitari insufficienti». Il timore prevale su morte, povertà, guerra. I ricercatori spiegano che «la pandemia – pur prendendo atto dell’immane sforzo svolto dagli operatori e dalle istituzioni – ha rivelato le carenze di un sistema pubblico poco strutturato nella sua rete territoriale e bisognoso di una riorganizzazione profonda, oltre che di rafforzamento del personale e rinnovamento tecnologico».

 LA NUOVA STRADA

Per impostare un futuro migliore c’è un treno da non perdere: tra poche settimane le aziende sanitarie locali dovranno presentare i propri progetti, nella speranza di ottenere i finanziamenti del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza nato per fare fronte alle difficoltà pandemiche e finanziato con fondi europei. Per la nostra Regione saranno disponibili 138 milioni per la messa in sicurezza della rete ospedaliera, 96 milioni per la digitalizzazione dei dipartimenti di emergenza e accettazione, 78 milioni per l’acquisto di grandi apparecchiature a elevato contenuto tecnologico. Per capire che cosa stia accadendo, l’Istituto di ricerche economiche e sociali ha pubblicato la rivista dal titolo Politiche Piemonte n.72, un lungo e accurato lavoro di analisi qualitativa del comparto sanitario regionale.

La ricercatrice Giovanna Perino osserva come la pandemia abbia ricordato a tutti che il concetto di salute si è ampliato, coinvolgendo aspetti non solo sanitari e connessi all’assenza di malattia ma anche temi economici, sociali e culturali, psicologici e mentali, condizioni naturali, ambientali, climatiche e abitative. Inoltre, dice Perino: «Risulta evidente come il concetto di prevenzione riguardi i bisogni individuali ma sia strettamente connesso a quelli collettivi e alla salute delle comunità». È, dunque, necessario pensare un sistema che riconosca i legami tra il benessere umano, degli animali e dell’ecosistema. Non bisogna più concepire le persone come entità isolate, ma come reti interconnesse: sarà perciò necessario ripensare la sanità in base a questa consapevolezza.

 

LA RETE TERRITORIALE

Aggiunge la ricercatrice Giovanna Perino: «Con riferimento all’organizzazione delle reti sanitarie piemontesi, la pandemia da Covid-19 ha impattato in Piemonte su una riconfigurazione della realtà ospedaliera ormai in fase avanzata – fu avviata nel 2014, secondo un modello nel quale le strutture meno complesse fanno riferimento a ospedali deputati all’erogazione di alte specialità –; si può dire che l’ospedale ha retto l’impatto, pure se con i necessari e repentini interventi. Per contro, la rete territoriale ha evidenziato diverse criticità».

La sanità del territorio si è rivelata infatti troppo frammentata per concertare azioni tali da consentire di sviluppare, con l’urgenza necessaria, i percorsi più appropriati di cura. «Per affrontare il futuro», conclude la ricercatrice, «non servirà solo l’innovazione materiale, ma anche la promozione d’interventi immateriali legati ai processi, alle competenze e anche ai ruoli. Una delle sfide principali del Pnrr è infatti il potenziamento e la reinterpretazione dei luoghi della cura sanitaria, per creare spazi dotati d’identità, punti d’ingresso del cambiamento. Non più solo ospedali ma città, residenze, spazi influenzati dal benessere della persona e dalla qualità delle relazioni, cruciali delle diverse e principali fasi della vita di ciascuno».

La mia esperienza di sacerdote ricoverato nel reparto Covid all’ospedale di Verduno

IL NODO PERSONALE

Per quanto riguarda il territorio di Langhe e Roero, il futuro appare denso di possibilità ma anche d’incognite. Il direttore generale dell’Asl Cn2 Massimo Veglio spiega come le risorse messe in campo dal Pnrr siano perlopiù destinate a interventi una tantum, utili soprattutto per quelle realtà che presentano difficoltà strutturali (come mancanza di sedi e apparecchiature). Il responsabile della sanità locale: «Presso l’Asl Cn2 non è questo il problema principale, ma quello del personale, risorsa non finanziabile con il Piano nazionale di ripresa e resilienza». In effetti, il tema del reperimento di operatori sanitari tiene sotto scacco l’intero contesto nazionale.

Spiegano Fabio Aimar, dirigente del settore bilancio e contabilità dell’Asl Cn1, e Mario Raviola, dirigente sanitario della Regione Piemonte: «La situazione italiana rivela un grande gap in termini di presenza di medici e infermieri per abitante rispetto ai Paesi Ocse». Per esempio, in Italia ci sono 6,2 infermieri per mille abitanti a fronte di una media europea di 8,8 (13 in Germania, 11 in Francia).

In Piemonte, peraltro, risultano 3,6 medici ogni migliaio di residenti, poco al di sotto della media italiana (pari a 4) e in linea con quella europea (pari a 3,6) anche se inferiore a quella di Paesi come l’Austria (5,2), la Germania (4,2) e la Svezia (4,1). Inoltre, i tecnici spiegano che la visione macroscopica fornita dal valore medio non permette di cogliere alcune problematiche più profonde, legate «all’elevata anzianità del personale medico, alle scelte di carriera oltre che alle caratteristiche della popolazione e ai bisogni di salute, che in Piemonte sono in aumento a causa del progressivo invecchiamento della popolazione».

Proseguono Aimar e Raviola: «In termini di risorse umane, la riuscita del Pnrr è correlata al tempestivo intervento, da parte dello Stato, del potenziamento delle attività formative volte a rendere disponibili nuovi professionisti (medici e infermieri). Il Piano di ripresa e resilienza rappresenta una grande opportunità, ma anche una sfida, per la ridefinizione dell’offerta attraverso il ruolo da riconoscere all’assistenza territoriale, la rimodulazione dei servizi, l’ammodernamento delle strutture e un sempre maggiore utilizzo delle tecnologie». Insomma, serve formare persone ed evolversi a livello tecnologico. E serve farlo con urgenza.

PIÙ TELEMEDICINA

Anche nell’Asl Cn2 il problema appare scottante. Massimo Veglio spiega che «la nostra azienda presenta un’importante carenza di personale sanitario e della dirigenza, rispetto al fabbisogno. Nel prossimo futuro occorrerà riuscire ad attirare professionisti di diversa formazione, attraverso programmi d’inserimento interessanti per loro, oltre che per la popolazione servita». Questa trasformazione dovrà tenere conto della variazione dell’assetto organizzativo aziendale avviata nel 2020, quando le attività ospitate presso due piccoli ospedali sono state trasferite in un nosocomio moderno – quello di Verduno – di dimensioni e qualità sensibilmente superiori. Veglio: «I due vecchi presidi ospedalieri dovranno divenire il fulcro dei servizi sul territorio, che non può esserne lasciato privo. Questa trasformazione richiede che il personale inserito sia anche formato a svolgere compiti che, fino a ora, sono stati assolti dagli ospedali in modo prevalente. Questi risultati sono raggiungibili solo da persone motivate, formate e collaboranti. Non si tratta quindi soltanto di trovare professionisti, ma anche di prepararli a un nuovo paradigma di servizi. Inoltre occorrerà preparare le comunità a un percorso che vedrà impegnate figure professionali diverse dagli specialisti medici, l’impiego della telemedicina e il coinvolgimento dei pazienti stessi. Questo percorso non è immediatamente compreso dalla popolazione, che vede ancora come unica soluzione la presenza di sanitari in molte piccole sedi di servizio diffuse sull’intero territorio: una realtà ormai difficilmente sostenibile».

PATOLOGIE CRONICHE

La necessità di riorganizzare i servizi sanitari si inserisce in un quadro di salute complessiva in veloce cambiamento. Sono in incremento le malattie croniche e le comorbilità (presenza simultanea di più patologie) a causa dello stress sociale, della povertà e di un sistema troppo poco attento. I dati Istat (Istituto nazionale di statistica) dicono che il Piemonte fa rilevare una prevalenza di patologie croniche più elevata rispetto alla media nazionale: su 100 piemontesi, 41,4 dichiaravano almeno una malattia nel 2017 (oltre 1,7 milioni di persone su circa 4,4 milioni di residenti), un punto e mezzo in più rispetto ai valori nazionali. Tra le patologie più diffuse figurano l’ipertensione, l’artrosi, le malattie allergiche, nel complesso, quasi il 44 per cento dei problemi di salute. Spiega Veglio: «È noto che la condizione di benessere è proporzionale al livello economico e culturale. Nessun territorio fa eccezione a questa regola anche se, in aree prevalentemente rurali, laddove i servizi sono più vicini alla popolazione, l’effetto può essere mitigato. Certamente l’Asl può contribuire a rendere meno sole e più coscienti le persone delle loro possibilità d’influire sulla loro stessa salute, a qualsiasi livello sociale e di reddito».

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LO STILE DI VITA

Nel Bollettino epidemiologico pubblicato a inizio anno dall’Asl Cn2 si evidenzia come nel territorio le malattie dell’apparato cardiocircolatorio e neoplastiche si confermino le principali cause di morte, cui seguono le malattie dell’apparato respiratorio. Si tratta di quadri strettamente connessi con gli stili di vita, la qualità dell’ambiente, le relazioni tra persone. I decessi per malattie cardiocircolatorie e tumorali rappresentano complessivamente il 62,4 per cento delle morti tra i maschi ed il 59,1 tra le donne.

Conclude Veglio: «Le patologie più impattanti sono quelle conseguenti al mantenimento di regimi poco sani. Vuol dire eccesso d’introito calorico e, in particolare, di cibi di origine animale; scarsità o addirittura assenza di attività fisica; abitudine al fumo: sono questi i principali responsabili dello sviluppo di molte neoplasie e delle malattie cardiovascolari e respiratorie. La pandemia da Sars-Cov2, con la necessità di restrizione della socializzazione per limitare la diffusione del virus, ha confermato come l’isolamento possa essere causa di disagio sociale e riduzione dello stato di salute, soprattutto tra i giovani e gli anziani. Può essere banale ma, per prevenire le conseguenze, occorre sviluppare stili di vita sani e un supporto comunitario continuativo: mangiare meno, muoversi molto e con costanza, non fumare e stare insieme rappresentano una ricetta tanto semplice quanto difficile da mettere in campo sistematicamente, perché antitetica rispetto a modelli economici e sociali prevalenti».

Tutto è connesso: l’organizzazione del sistema, le relazioni tra le persone, il concetto di comunità e la politica. Dimenticando questi elementi – cibo, moto e socialità – ci si ammala: i corpi sono organismi molto sensibili e ricettivi agli squilibri.

 Roberto Aria

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