Nella mappa dell’Italia a rischio ci sono Alba, Bra, Langa e Roero

Alba: l’Amministrazione comunale, con la Protezione civile e gli Alpini, ha ricordato l’alluvione ’94 lanciando una corona di fiori nel fiume Tanaro 2
La commemorazione delle vittime dell'alluvione del 1994 ad Alba (foto dello scorso anno)

LA RICERCA Quanto è accaduto a Ischia lo scorso 26 novembre spaventa. Perché in Italia sono poche le aree che possono davvero ritenersi esenti dal rischio di frane, smottamenti e alluvioni. Anche per quanto riguarda la zona di Alba, Langhe e Roero – ripensando all’alluvione del 1994 e ad altri eventi che si sono susseguiti negli ultimi trent’anni – emerge la fragilità di un territorio sempre in allerta. Le cause? I gravi problemi geologici si uniscono all’azione dell’uomo, da una programmazione urbanistica che non ha tenuto conto dei pericoli alla mancanza di prevenzione, per esempio per la manutenzione dei corsi d’acqua. E poi c’è il cambiamento climatico, che peggiora ancora di più una situazione delicata. A farne le spese sono le persone e la loro sicurezza.

Lo spiega bene un dato, esito dell’ultima mappatura dell’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), secondo cui il 18,4 per cento della superficie nazionale rientra nelle classi a maggiore pericolosità per frane e alluvioni. Si parla di oltre 55mila chilometri quadrati, quasi un quinto dell’intero territorio italiano. Se si guarda solo alle aree a pericolosità di frana elevata o molto elevata, vi rientrano città e paesi in cui vivono 1,3 milioni di persone e in cui sono censiti 565mila edifici, cioè quasi il quattro per cento del patrimonio edilizio italiano. Sempre in questo territorio estremamente fragile, si trovano 84mila imprese e più di 12mila beni culturali, quasi il 6% di quelli esistenti sulla superficie del nostro Paese.

Nello specifico, vivono nelle aree a rischio elevato di alluvione 2,4 milioni di italiani, un dato che sale a 6,8 milioni di persone comprendendo le zone classificate a media pericolosità. Per tornare agli edifici, inevitabilmente vi rientrano anche le scuole, al Nord come al Sud: luoghi in cui i bambini e i ragazzi dovrebbero essere al sicuro, dal momento che vi trascorrono gran parte delle loro giornate. A fare il punto su questo tema, sempre a partire dai dati Ispra, è il portale Openpolis, tramite l’osservatorio Con i bambini.

Ma prima di entrare nel merito dell’edilizia scolastica, è bene cominciare dalla mappatura Ispra a proposito del rischio di frane. Si tratta, evidentemente, di una situazione che riguarda in misura maggiore Comuni collocati in aree montane e interne: sono 97 quelli in cui la metà della popolazione vive secondo un indice di pericolosità molto elevato. Tra questi ultimi, uno su quattro si trova in Piemonte: la situazione più critica riguarda il Verbano-Cusio-Ossola, nel quale circa il 15 per cento dei residenti è esposto al pericolo degli smottamenti.

Ma nessuna provincia può dirsi del tutto al sicuro. Per esempio, considerando solo l’allerta frane elevata e molto elevata, Alba e Bra non rientrano in queste categorie quasi per nulla. Ma, se ci si sposta nelle Langhe e nel Roero, il quadro cambia: per esempio, a Barolo l’Ispra considera a rischio l’8,65 per cento della popolazione e a Barbaresco il cinque, mentre a Montaldo Roero si parla dell’1,26 per cento dei residenti e a Priocca del sei. Nell’alta Langa, Murazzano arriva al 14,5 per cento e Bossolasco al 16,27 per cento. Considerando un livello di pericolosità media per le alluvioni, una quota del 4,15 per cento dei residenti di Alba deve stare attento, mentre a Bra il dato non raggiunge l’un per cento. Se si guarda invece al resto del territorio, a Barolo il rischio idraulico medio riguarda il 7 per cento dei residenti, ma si supera anche il 12 per cento in alcuni centri del Roero, per esempio Corneliano.

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Arriviamo alle scuole, dunque: in questo caso, il focus della fondazione Openpolis è sugli edifici statali che, nell’anno scolastico 2020-2021, risultano insistere in aree soggette a vincolo idrogeologico, secondo i dati dichiarati dal Ministero dell’istruzione. Come dice la normativa, si tratta di quelle porzioni di territorio considerate particolarmente fragili: il riferimento va a zone che, per le loro caratteristiche, potrebbero perdere stabilità a causa di interventi di movimentazione condotti in modo scorretto o per via di una gestione del territorio non adeguata.

In media il 6,7 per cento delle scuole italiane rientra in questa categoria, con notevoli differenze tra le diverse parti del Paese: si supera il 20 per cento nelle province di La Spezia, Trieste, Massa Carrara, Oristano e Siena, ma anche Cuneo raggiunge quasi la medesima soglia, con una quota del 19,9 per cento. Com’è facilmente intuibile, sono ancora i territori interni e meno popolosi quelli più a rischio: si va dal 10,5 per cento di edifici scolastici costruiti in terreni vincolati nei Comuni montani al 4 per cento tra i Municipi ad alto grado di urbanizzazione, per arrivare al 12 per cento rilevato nei territori rurali meno urbanizzati.

Se si guarda ad Alba, su 30 edifici scolastici, tre si trovano su un’area a rischio. A Bra, su 29 plessi, solo uno rientra in questa categoria. Ma, più ci si sposta nei piccoli Comuni, più la percentuale sale. Per esempio, partendo dal Roero, si trovano in terreni a rischio idrogeologico gli edifici scolastici di Castagnito, Monteu e Monticello. Lo stesso discorso vale, nella Langa, per paesi come La Morra, Monforte, Diano e Cortemilia. L’elenco è lungo e sono pochi i centri nei quali non si conti neppure una scuola collocata in un’area fragile, a maggior ragione se si estende lo sguardo a tutta la provincia, fino alle nostre montagne.  

La ricetta di Roberto Cavallo: demolire, fare manutenzione e vincolare le aree naturali

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Parliamo con Roberto Cavallo, albese, agronomo, saggista, sportivo e grande esperto di ambiente, con importanti incarichi a livello regionale e nazionale.

Cavallo, la stupisce il report di Openpolis?

«In realtà, non molto: da anni numerosi colleghi, ma anche mio padre Oreste, evidenziano le peculiarità del territorio di Langa e i rischi connessi. Le nostre colline sono il risultato della deposizione di sedimenti marini, che hanno portato alla creazione di strati sovrapposti di argilla e sabbia di differente spessore. Quando la pioggia scende nelle giuste quantità e con tempi ragionevoli, o la neve fonde lentamente, l’acqua scorre lungo il piano inclinato degli strati e sgorga nelle sorgenti naturali. Se le precipitazioni si verificano invece tutte insieme, come sempre più frequentemente accade, magari su un terreno asciutto da diversi mesi di siccità, l’acqua non ha il tempo di penetrare nel suolo e scorre a valle, portando con sé tutto ciò che trova lungo il suo cammino, oltre a ingrossare rapidamente fiumi e torrenti. Se invece il temporale si scarica su un terreno già zuppo, lo appesantisce, causando gravi scivolamenti. Le Langhe e in parte il Roero sono caratterizzati da entrambi questi fenomeni: i primi sono smottamenti superficiali, mentre i secondi sono grandi frane, come abbiamo vissuto nel 1972 o nel 1994».

Negli anni, che impatto hanno avuto i comportamenti umani sul deterioramento del territorio?

«Ci sono due elementi contrastanti che hanno contribuito e contribuiscono all’impoverimento del territorio: l’abbandono di alcune aree e l’edificazione non sempre ben programmata. I recenti eventi, dalle Marche alla Campania, ci ricordano come la cattiva programmazione edilizia sia alla base dei danni materiali e purtroppo anche delle morti delle persone. Per questo, dopo un attento studio del territorio, le autorità competenti dovrebbero arrivare a programmare due tipologie di interventi: demolizioni e manutenzione. Mi rendo conto del fatto che si tratta di due strategie molto impopolari, così come vincolare aree naturali, ma credo che siano davvero fondamentali».

L’edilizia continua quindi ad avere un impatto importante?

«Per fortuna è minore oggi rispetto al disastro del periodo compreso tra gli anni ’60 e ’80, ma continuiamo comunque ad avere un consumo di suolo pari a due metri quadrati al secondo, non più tollerabile. Credo però che, accanto all’edilizia, occorra una grossa riflessione sulle monocolture e sulla loro gestione, nel nostro caso con riferimento alla vite e alle nocciole».

Pensando al futuro, da dove dovrebbe partire il cambio di paradigma?

«Da oltre cinquant’anni ripetiamo che il paradigma va cambiato, senza arrivare ai risultati sperati. Visto che illustri pensatori non sono riusciti a intaccare il modello economico di riferimento, forse dobbiamo provare a mutarne gli ingredienti: finché i bilanci comunali continueranno a dipendere in gran parte dagli oneri di urbanizzazione, è inevitabile che si continui a costruire. Al contrario, bisognerebbe riuscire a far quadrare i conti con un’economia della prevenzione, basata sui servizi. Dovremmo essere soddisfatti quando si inaugura un marciapiede senza barriere architettoniche o si decide di lasciare un terreno a bosco, per esempio. Qualche passo in avanti è stato compiuto, ma molto resta da fare. Ritengo che Alba, Langhe e Roero possano impegnarsi per diventare un esempio di buon governo».  

La Provincia interviene sull’Einaudi e il Govone

IL PUNTO Tra gli enti più coinvolti nella sicurezza delle scuole, c’è la Provincia, che ha competenza in particolare per le superiori, mentre le singole Amministrazioni comunali si occupano degli ordini inferiori d’istruzione, ognuna con riferimento agli edifici presenti sul proprio territorio. Da poche settimane, il nuovo presidente della Provincia di Cuneo Luca Robaldo ha assegnato le deleghe ai consiglieri: tra quelle arrivate nelle mani di Davide Sannazzaro, sindaco di Cavallermaggiore, c’è l’edilizia scolastica. Spiega il neodelegato: «La sicurezza delle scuole è uno dei temi centrali per il nostro ente, dal momento che il territorio provinciale è fragile da questo punto di vista, per cause naturali e per la presenza di edifici storici, che necessitano di ingenti interventi. Com’è evidente, se si guarda al solo rischio idrogeologico, le città e i contesti urbanizzati sono maggiormente al riparo, mentre le aree collinari e le montagne sono più esposte ai movimenti incontrollati del terreno».

In ogni caso, il concetto di sicurezza degli edifici scolastici comprende molti aspetti, non solo quello idrogeologico: «Con l’ex presidente Federico Borgna è stato avviato un attento lavoro di adeguamento per la prevenzione degli incendi e oggi il 70 per cento delle scuole della Granda è a norma dal punto di vista delle certificazioni. Ad Alba, la totalità degli edifici scolastici è in sicurezza. Nel frattempo, per valutare la staticità degli edifici, sono iniziate anche le operazioni tecniche mirate».

In questo momento, sempre con riferimento all’Albese, sono due i principali interventi in corso, entrambi sul liceo classico Govone: «Dopo diversi rilievi tecnici, è stata evidenziata la necessità di procedere a un rafforzamento della struttura scolastica, che si trova in un complesso storico e abbisogna di adeguamenti, sebbene non esistano problemi di sicurezza. Il primo lavoro, per un importo di 400mila euro, è mirato al miglioramento statico dell’edificio, mentre un secondo intervento, che ammonta a un milione e mezzo di euro, ha per oggetto il rifacimento del tetto e del sottotetto, anche in questo caso sono piuttosto vetusti».

Si stanno reperendo fondi pure per un altro intervento rilevante, relativo all’istituto tecnico albese Einaudi: «Anche in questo caso si procederà con l’adeguamento sismico e con l’efficientamento energetico, per un importo compreso tra 2 e 3 milioni di euro». Conclude Sannazzaro: «Se si parla di sicurezza, la prevenzione è il tema chiave. Senza dubbio sono stati compiuti grandi passi in avanti negli ultimi anni sul fronte della protezione civile, con piani specifici di evacuazione e chiusura delle scuole fin dalle prime avvisaglie di pericolo, ma la manutenzione e la messa a norma degli edifici è il passaggio essenziale».  

Francesca Pinaffo

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