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Se la Langa è così, trecento giovani per il mondo del vino (INTERVISTA)

Se la Langa è così, il mondo del vino raccontato ai giovani 1

L’INTERVISTA Saranno almeno trecento i giovani under 30 che affolleranno il teatro Sociale di Alba e l’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo per un’iniziativa voluta dal fondatore di Slow food Carlo Petrini, dal titolo Se la Langa è così. Appassionati di enologia e nati nelle fortunate terre di Langa, Roero e Monferrato, i ragazzi sfideranno la cabala – la data prevista al Sociale è venerdì 17 febbraio – per conoscere, insieme a storici, attori e produttori, le tradizioni e le vicende del territorio in cui vivono. Il giorno successivo, sabato 18, dalle 10.30, all’Università di Pollenzo i ragazzi si confronteranno con un centinaio di vignaioli, attraverso tavoli tematici di assaggio e di racconto delle produzioni. Non si tratterà di una degustazione, ma di un confronto a più voci su una terra benedetta, che i nostri giovani rischiano di non comprendere appieno, perché talvolta non ne conoscono la storia, fatta di grandi successi ma anche di immani sofferenze. Ne parliamo con Carlo Petrini.

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Carlo Petrini

Dunque, Petrini, ha visto giusto: i giovani si sono già iscritti e Se la Langa è così dovrà fare presto il bis. Di che cosa si tratta?

«È un’iniziativa unica, accolta in un modo davvero straordinario. Trecento giovani di Langa, Monferrato e Roero interessati al vino non si sono mai visti insieme. Rappresentano una grande forza! Anche dal punto di vista politico avere un gruppo di under 30 della nostra area interessati al comparto enologico deve fare riflettere produttori e amministratori».

Che cosa vuol dire loro con questo titolo?

«Se La langa è così è un motivetto accattivante cantato da molti anni. A noi sta bene, perché intendiamo rimarcare che se la Langa è così, con l’etichetta Unesco e con questa floridezza, è perché molti hanno lavorato per portarla a questo punto. Al teatro Giorgio Busca tracceremo con Gabriele Proglio e Paolo Tibaldi un excursus storico che i ragazzi spesso non conoscono o danno per scontato. È importante invece che tutti siano coscienti delle radici di questa realtà, costruita grazie al lavoro di centinaia e centinaia di persone che hanno fatto la storia, del tutto atipica, di un territorio peculiare. Queste vicende bisogna approfondirle, anche ripetendo l’operazione, visto che i posti sono già quasi esauriti e i giovani hanno dimostrato di apprezzare».

Come si svolgerà la serata al Sociale?

«Ci saranno testimonianze degli studenti dell’Università, filmati storici originali in cui riconosceremo, per esempio, Colla, Veronelli, Soldati che incontra i commercianti al Calissano. Si riprenderanno in mano le nostre radici da fine Ottocento ai primi decenni del Novecento, una storia di difficoltà, di immani fatiche e di primi successi che hanno portato alla nostra florida quotidianità. Se di questo percorso non si ha consapevolezza si è portati a pensare di vivere da sempre in un’isola di benessere. Invece, il nostro carattere si è plasmato nella difficoltà».

Sabato 18 si farà un altro tipo di riflessione con i giovani che incontreranno i produttori, vero?

«Trecento ragazzi del posto conosceranno un centinaio dei nostri migliori vignaioli, assaggiando vini e piatti tipici. Vogliamo lasciare un segno nella loro formazione. È una prospettiva che non si è mai vista prima».

Perché è importante spiegare le radici?

«Senza la conoscenza del luogo da cui si arriva non si può ipotizzare dove andare».

Dove sta andando oggi il nostro territorio?

«La questione è molto complessa. Non posso che avere un accento critico sul turismo enologico. Rischiamo di mancare la connessione tra i residenti e i successi della nostra economia. Anche l’attività turistica dev’essere utile alla felicità di chi opera in loco, migliorandone la vita. Sono invece preoccupato perché abbiamo pienoni ovunque, ma in alcuni paesi chiudono bar, negozi e osterie. Non possiamo vivere di soli ristoranti stellati. Ci mancano i luoghi di ritrovo, persino le parrocchie. Se perdiamo la socialità per favorire a dismisura i flussi turistici sbagliamo strada».

Che cosa c’è a suo avviso nel Dna di Alba?

«Questa terra, attraverso la genialità di centinaia di persone, ha saputo acquisire una chiara primogenitura dal punto di vista enogastronomico. Qui si trova la vera eccellenza. Per questo occorre godere del successo, ma avere il governo del limite».

È una considerazione molto piemontese.

«Se si andrà troppo avanti, senza badare a chi vive nell’area, si pagherà la scelta. Se i residenti non sono soddisfatti, avremo costruito un’economia poco utile».

Anche le persone che lavorano per noi nei nostri vigneti non devono essere sfruttate: parliamo della vita dei braccianti africani?

«Sa bene come la penso: non dobbiamo sfruttarli! Eppure, anche questa vicenda deve fare parte della coscienza collettiva che puntiamo a fornire ai nostri giovani. Sono tutti elementi del puzzle del nostro modo di essere».

I giovani hanno risposto. Che cosa si aspetta?

«La nostra proposta ha avuto un grande successo. Si tratta del primo esperimento in grande stile dedicato alla conoscenza delle radici. Se i futuri cittadini di quest’area non hanno coscienza di come ci siamo evoluti nell’arco di un secolo, di che cosa stiamo parlando?».
Maria Grazia Olivero

È una storia speciale da ascoltare in teatro

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Da sinistra: il generale Staglieno, Giulia Colbert, Luciano De Giacomi, Renato Ratti e Arnaldo Rivera. Al Sociale si parlerà di questi e molti altri personaggi.

Se la Langa è così: Carlo Petrini ha richiamato una canzone popolare per il titolo della serata di venerdì 17 febbraio alle 21 al teatro Giorgio Busca di Alba. Un ritornello tra il gioioso e il malinconico, ma anche un perfetto incipit di una storia sociale del vino tra Langhe, Roero e Monferrato. Introdurrà lo stesso fondatore di Slow food con Paolo Tibaldi; l’attore albese condurrà la narrazione, articolata sotto la supervisione di Gabriele Proglio, professore di storia all’Università di scienze gastronomiche, di quasi due secoli di innovazioni, catastrofi superate a stento, intuizioni, successi. E del lavoro, a lungo mal ripagato, di generazioni. Periodi e temi saranno esposti e interpretati da studenti dell’Unisg di Pollenzo con brevi video, corredati da un repertorio di immagini e materiali audiovisivi originali e di archivio.

È previsto l’intervento dal vivo di esperti, studiosi e figure di riferimento del territorio, per dare ulteriore corpo al racconto di personaggi e vicende che a volte si incontrano, dando vita a svolte radicali. In altri casi l’eredità di trasformazioni e innovazioni benefiche per tutto il mondo del vino sono frutto di percorsi e ricerche condotte in solitaria.

“Dal Vermuth al Barolo chinato” sarà il primo tema, dedicato a tre aziende vinicole – Cinzano, Gancia e Martini – che hanno portato al mondo il Piemonte vinicolo e ancora sono marchi conosciuti ovunque. Seguirà il momento dedicato a coloro che diedero origine al Barolo come lo conosciamo oggi, nel nome e nei fatti: da Paolo Francesco Staglieno, il generale di Carlo Alberto che da responsabile dei vini nella Tenuta di Pollenzo codificò l’invecchiamento dei «nobili Nebbioli dell’Albese», a Louis Claude Oudart, il francese enologo di fiducia di Camillo Benso di Cavour che importò nelle Langhe i metodi di vinificazione della zona di Bordeaux, esperto di fiducia di un’altra figura centrale: Giulia Colbert, marchesa Falletti di Barolo, celebre per le sue opere sociali e per la protezione a Silvio Pellico.

Il percorso storico farà quindi tappa a Bra, nell’Ottocento capitale della produzione del Barolo, e alla lotta contro fillossera, oidio e peronospora, i flagelli della fine del secolo. Le biografie di donne e uomini che si distinsero nello sviluppo vitivinicolo del territorio saranno il filo che unirà il racconto da quel periodo fino agli anni Trenta. Il periodo del regime fascista sarà esaminato attraverso la nascita e l’affermazione di manifestazioni come la Fiera del tartufo.

La parte della serata che affronterà il periodo dal Dopoguerra a oggi prenderà le mosse da figure come i bacialè e le calabrotte, dalla pallapugno, o balòn, nelle Langhe sport ammantato d’epica. E poi si passerà a due punti fondamentali del Novecento: la nascita delle cantine cooperative sociali – con Arnaldo Rivera, partigiano, maestro e sindaco di Castiglione Falletto, fondatore di Terre del Barolo – e delle denominazioni d’origine.

Luciano De Giacomi (e con lui l’Ordine dei cavalieri del tartufo e dei vini di Alba) e Renato Ratti saranno nel novero delle personalità che nel secondo Dopoguerra hanno trasformato il mondo del vino in una realtà capace di superare la catastrofe del metanolo negli anni ‘80 con un risorgimento dei produttori – ne saranno raccontate le storie – del quale Langhe, Monferrato e Roero godono ancora gli effetti. Vi sarà spazio anche per un excursus sulla nascita e crescita a livello globale di Slow food e ArciGola.

In conclusione il programma prevede la presentazione della riedizione dell’Atlante delle vigne di Langa: il primo libro di Slow food, uscito in fascicoli negli anni Ottanta, prima ancora della nascita della casa editrice con il simbolo della chiocciola, come ricorda Roberto Burdese: «Carlo Petrini ne fu il curatore. Seguirono le edizioni del 1990 con il solo Barolo, nel 2000 con il Barbaresco; poi alcune ristampe, esaurite in poco tempo. Pur anticipando lavori successivi, non è un’opera tecnica, per addetti ai lavori, e ha un taglio antropologico nella spiegazione e descrizione dei vigneti, uscita dai racconti di personaggi che non ci sono più. Ma non è un’opera rivolta al passato, piuttosto ha l’intento di aiutare a capire quali strade sono da percorrere nel futuro». 

Paolo Rastelli

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