8 marzo, ritorno a Bucha con Alba nel cuore

8 marzo, ritorno a Bucha con Alba nel cuore

8 MARZO Anna, che ha quasi 10 anni, legge una lettera in italiano per chi l’ha accolta, insieme alla sua famiglia. L’ha scritta da sola, in una lingua di cui non conosceva nemmeno una parola fino a meno di dodici mesi fa. Tra le righe, con caratteri più grandi e molto colorati, emerge la parola “pace”. «Ringrazio l’Italia, che ha aiutato me e la mia famiglia», dice, mentre rivolge lo sguardo sorridente a Gianni Arbocco e alla moglie Luisella Vernone, albesi.

Si sono incontrati per la prima volta il 21 aprile dello scorso anno: Luisella conserva ancora le foto sul telefono. Si vedono Anna e la sorellina Dariia, insieme alla mamma Svitlana Bilokon. Con loro, c’è Nataliia Mukoid, la sorella maggiore di Svitlana, con sua figlia Vladyslava, che ha 18 anni. Si nota anche la nonna Giulia. Tra pochi giorni, l’11 marzo per la precisione, torneranno a casa, a Bucha, in Ucraina. È il sobborgo di Kiev diventato uno dei simboli più drammatici della guerra.

«Torniamo perché vogliamo aiutare le persone che sono rimaste», comincia Nataliia. Prima di loro, lo scorso novembre, è stata la nonna a partire per prima. L’unica a rimanere in Italia sarà Vladyslava, perché nel frattempo si è aggiudicata una borsa di studio per l’Università di scienze gastronomiche a Pollenzo: «Ho sempre voluto frequentare una facoltà di questo tipo: quando ho scoperto che esisteva davvero e che si trovava a pochi chilometri da Alba, mi è sembrato un segno del destino», commenta la ragazza che, intanto, in Italia si è fidanzata con Sergio, un giovane ucraino che vive a Firenze.

Il destino, in fondo, ha giocato un ruolo fondamentale nella storia di questa famiglia di donne così unite da riuscire ad attraversare la guerra insieme, sostenendosi l’una con l’altra. Grazie a una conoscenza comune, sono arrivate ad Alba, dove ad attenderle c’erano Luisella e Gianni, che non hanno avuto dubbi nel mettere a disposizione un alloggio in via Ognissanti. Fin dai primi giorni del conflitto avevano aderito al bando della Regione Piemonte, senza avere risposta. Erano i giorni in cui Nataliia, Svitlana, Giulia e le bambine cercavano di sopravvivere a Bucha, dove ogni segnale di normalità era stato cancellato, lasciando spazio a morte e devastazione. Il 17 marzo, dopo un estenuante viaggio in macchina, entravano in Italia, per poi trovare accoglienza in un piccolo paese in provincia di Grosseto. Da qui, un mese dopo, arrivavano ad Alba, diventata la loro seconda casa.

Riprende Nataliia: «Per noi, è molto difficile raccontare ciò che abbiamo vissuto: vorremmo solo dimenticare». I ricordi, nel suo racconto, si susseguono come frammenti da rimettere in ordine: «Dopo l’invasione russa, i giorni a Bucha si sono susseguiti in modo confuso. D’accordo con mia sorella Svitlana, abbiamo deciso subito di scappare, per metterci in salvo insieme a nostra madre e alle nostre figlie. Ma alla fine abbiamo rimandato, convinte dai messaggi rassicuranti dei canali ufficiali, una strategia per non creare panico. Dicevano che i russi non avrebbero sparato sui civili e che la guerra sarebbe durata per poco tempo».

«Non date per scontata la fortuna di poter vivere in pace e in libertà»

8 marzo, ritorno a Bucha con Alba nel cuore 1

Quando la violenza si è palesata, con persone uccise per strada a sangue freddo, era troppo tardi per partire: le vie per la vicina Irpin e per Kiev erano bloccate, così come i boschi, dove si scavavano le prime fosse comuni. Nataliia prosegue: «Dal momento che le nostre case sono sprovviste di cantine, abbiamo chiesto ai vicini di nasconderci nel loro rifugio: per giorni, abbiamo vissuto in uno spazio di 8 metri quadrati, condiviso con altre dodici persone e un grosso cane. Un adulto può resistere qualche giorno senza bere e mangiare, mentre per le bambine era impossibile. Ci siamo aggrappate a ogni cosa, anche alla neve, da cui ricavavamo acqua. Abbiamo vissuto nel silenzio più assoluto, per non farci sentire, in una situazione di enorme pressione psicologica, soprattutto per le piccole. Quando siamo arrivate ad Alba, persino i rintocchi dei campanili spaventavano Dariia».

A che cosa ci si aggrappa, in momenti come questi? «Eravamo decise ad andare avanti e a scappare», prosegue Nataliia. Prima di riuscire a lasciare l’Ucraina sono stati diversi i tentativi. Conservano ancora il foglio bianco con la scritta “bambini” in ucraino, esposto al finestrino, per segnalare la presenza di minori, nella speranza di evitare violenze. Fondamentale è stata l’apertura dei corridoi umanitari: grazie al marito di Svitlana, costretto a rimanere a Bucha, sono riuscite a farsi spazio nella coda di veicoli, con la loro auto. «Abbiamo visto i morti per le strade, abbandonati: c’è chi dice che era una farsa, ma purtroppo è tutto vero».

Il gruppo ha viaggiato per oltre tremila chilometri verso l’Italia, dove vivevano alcuni conoscenti. Alba è stata la rinascita, anche se è sempre continuato il rapporto stretto con il loro Paese: le due donne hanno proseguito il loro lavoro da remoto, mentre Anna frequenta la scuola ucraina on-line, con la didattica a distanza.

«Alba ci ha regalato la serenità che avevamo perso. Il merito va a Gianni e Luisella, che sono diventati la nostra famiglia. A Bucha, ci attende la ricostruzione: la nostra casa non è stata bombardata, ma del tutto vandalizzata. In realtà, in questo momento si lavora in tutta la città, grazie agli aiuti che arrivano dal resto del mondo». Per questo sotto le torri, è attivo il comitato Razom, il cui obiettivo è raccogliere fondi per la ricostruzione di un asilo nido nella cittadina. Durante la manifestazione per la pace, la scorsa settimana in piazza Risorgimento ad Alba, le donne si sono presentate al giovane presidente di Razom, Edoardo Bosio. «Alle persone che ci leggono, vorremmo lasciare un messaggio: non date per scontata la fortuna di vivere in pace e in libertà», conclude Nataliia.

Sul cellulare, mostra un’ultima foto: è il pranzo della Pasqua ortodossa dello scorso anno, festeggiata nell’alloggio di via Ognissanti, in cui erano arrivate da pochi giorni. A tavola, insieme a loro, anche Gianni e Luisella, con cui hanno voluto condividere le loro tradizioni, anche se si conoscevano appena. «È stato l’inizio del nostro legame: ci mancheranno», concludono i due albesi.

Francesca Pinaffo

Banner Gazzetta d'Alba