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Dio non ci paga lo stipendio ma ci fa un dono

PENSIERO PER DOMENICA – XXV TEMPO ORDINARIO – 24 SETTEMBRE

Ci sono pagine di Vangelo imbarazzanti, che sfidano i nostri ragionamenti e la nostra logica. Sono lo specchio della vita, che a volte appare “ingiusta”. Ma anche del modo di ragionare di Dio, diverso dal nostro, come proclamato già da Isaia (55,6-9) e ribadito in modo chiaro e provocatorio da Gesù nella parabola degli operai chiamati a lavorare nella vigna a ore diverse (Mt 20,1-16).

L’unica parabola non originale di Gesù. Come emerge dai Vangeli, Gesù non ha mai “copiato”: ha insegnato sempre cose nuove e originali. La parabola odierna fa parzialmente eccezione, perché Gesù utilizza una storia rabbinica e ne stravolge il finale. Nella parabola rabbinica gli operai venivano ricompensati in base al lavoro svolto, per cui i primi chiamati (gli Israeliti!) ricevevano dal padrone-Dio il salario più alto. Gesù rovescia le posizioni e lo proclama solennemente: «Gli ultimi saranno primi e i primi ultimi». L’aveva anticipato già il secondo Isaia, il profeta degli esuli rientrati: gli ultimi arrivati nella Terra promessa diventeranno protagonisti del cammino di salvezza. Dio ragiona in modo diverso da noi: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri».

Dio non ci paga lo stipendio ma ci fa un dono
Gli operai della vigna, miniatura dell’XI secolo, Codice aureo, Museo nazionale di Norimberga.

Questo modo di agire di Dio può avere due spiegazioni. La prima, umana e psicologica: Dio premia non solo il lavoro effettivamente svolto, ma anche la buona volontà di chi cerca un lavoro senza arrendersi, magari disperatamente. Chi nella vita ha dovuto bussare a tante porte (oggi mandare tanti curricula!) per cercare lavoro, sa quanto sia forte la tentazione di arrendersi. Ancora più bella la seconda spiegazione: la salvezza (la paga finale!) non è tanto un salario delle nostre azioni, per quanto buone esse siano, ma un dono gratuito di Dio. La nostra salvezza eterna è un dono! Noi non dobbiamo guadagnarlo, ma conservarlo con cura.

Questa tesi è tipica di san Paolo ed è stata sovente motivo di scontro con i Giudei. Non è però il tema centrale della lettera ai Filippesi che ci accompagnerà per alcune domeniche. Questa lettera, scritta dal carcere, forse di Efeso, è carica di gioia, di calore, di affetto. Paolo, diviso tra due desideri, quello di incontrare presto Cristo e quello di incontrare i Filippesi, si augura che si realizzi questo secondo: «Per voi è più necessario che io rimanga nel corpo». Sono parole che riecheggiano nel testamento di don Milani, che quest’anno ricordiamo a cento anni dalla nascita. Rivolto ai ragazzi a cui aveva dedicato tutta la sua vita, nella scuola, scrive: «Ho voluto più bene a voi che a Dio». Ma, come ha insegnato Gesù, per Dio va bene così.

 Lidia e Battista Galvagno

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