Edoardo Bosio: «I trentatré giorni della città di Bucha»

Dal 27 febbraio al 31 marzo del 2022 Bucha è stata devastata: sono morti 501 civili, donne e uomini, bambini e anziani

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IL REPORTAGE Un allarme aereo mi sveglia nel cuore della notte. Mi trovo a Bucha, città ucraina che in soli trentatré giorni, dal 27 febbraio al 31 marzo 2022, è stata distrutta e ha subito la morte di 501 civili, donne e uomini, bambini e anziani, brutalmente uccisi dagli occupanti russi. L’allarme aereo rientra, ma non riesco a riaddormentarmi e inizio a pensare allo scopo del mio viaggio e alle domande che avevo in testa prima della partenza, avvenuta il 24 agosto. Questo è il diario di un’importante esperienza durata fino al 28 agosto.

Trentaduemila euro

Da Alba a Bucha: al via il viaggio di Edoardo Bosio del comitato Razom 8Sono qui come rappresentante del comitato Razom, un progetto di cooperazione internazionale di Alba, per incontrare i rappresentanti della città di Bucha e stipulare un accordo di collaborazione. Nell’aprile 2022 ci mettemmo in contatto con il Municipio per offrire il nostro sostegno, dopo aver visto le drammatiche immagini del massacro di civili, che fecero il giro del mondo; avviammo così una raccolta di fondi per sostenere la ricostruzione di un asilo bombardato. L’obiettivo era arrivare ad almeno 32mila euro, cioè un euro per ogni abitante di Alba.

L’ambasciata a Kiev

La prima parte della mia visita inizia a Kiev, dove ho un incontro inaspettato. Nei giorni precedenti avevo chiesto udienza all’ambasciatore d’Italia in Ucraina, Pier Francesco Zazo, per raccontargli del lavoro del comitato Razom e soprattutto per chiedere consigli alla massima autorità italiana nel Paese sotto assedio. La risposta è arrivata il giorno della mia partenza ed è stata positiva. L’incontro avviene in ambasciata ed è un riconoscimento di alto livello e un’ulteriore garanzia per il nostro progetto. Insieme all’ambasciatore c’è Fabio Strinati, direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo della sede di Kiev.

Il rifugio per i bimbi

A Bucha incontro Oleg Tsymbal, assessore all’istruzione, il quale mi comunica che nelle scorse settimane è arrivata dal Governo ucraino la notizia dello stanziamento dei fondi necessari per la ricostruzione dell’asilo bombardato. Pertanto, l’assessore mi presenta un’altra proposta di collaborazione: sostenere parte delle spese di costruzione del rifugio antiaereo della struttura, per permettere l’accesso all’istruzione a 60 bambini. Tsymbal mi accompagna a vedere un rifugio identico costruito nei mesi scorsi: è una costruzione in superficie fatta in cemento armato con pareti spesse 45 centimetri, divisa in sezioni per far sì che in caso di bombardamento e di cedimento non crolli tutta la costruzione ma soltanto la sezione colpita. Il suo costo ammonta a circa 57mila euro.

Non finirà presto

A noi che viviamo da circa ottant’anni in pace la proposta può sembrare poco comprensibile, ma per quella comunità costruire un rifugio per l’asilo è fondamentale perché altrimenti la struttura resterebbe inagibile

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Irpin

per ragioni di sicurezza. E poi quale genitore al mondo manderebbe il proprio figlio a scuola senza avere la sicurezza di vederlo tornare a casa? Per comprendere l’idea bisogna rispondere a una domanda che mi ero posto prima della partenza: quali sono le previsioni sul conflitto? Gli ucraini hanno molta fiducia negli sforzi degli uomini e delle donne che ogni giorno combattono e muoiono per riconquistare i territori. Ma ho percepito dagli incontri ufficiali con le istituzioni e dai dialoghi con le persone comuni che questa guerra non finirà domani. Forse nel 2024? Inoltre, anche se presto si dovesse trovare un accordo di pace, il rispetto non può essere assicurato.

Vivere in guerra

Come vive una società in guerra? È la seconda domanda che avevo in testa. Le persone in Ucraina si sforzano di avere una vita normale: la normalità significa cercare di condurre la vita di sempre e andare al lavoro, perché questo serve per sostenere l’economia. In questo consiste fare il proprio dovere per il Paese e difendere la democrazia e la libertà. Fanno parte di questa normalità gli allarmi aerei e i tanti, troppi, manifesti in memoria dei caduti per ricordare a tutti l’immenso sacrificio della guerra.

Ricostruire

Trovo risposta alla terza domanda che mi ero posto, la più difficile, da due ragazze che sono tornate a Bucha nei giorni successivi alla liberazione, quando le strade erano ancora piene di mezzi distrutti e di cadaveri. Come si fa a elaborare il trauma collettivo della propria città e tornare alla vita di sempre? Julia, cameriera di un ristorante, 18 anni all’epoca dei fatti, dice: «Io sono viva, la mia famiglia è viva, i miei amici sono vivi. La vita va avanti, nonostante la sofferenza». Anna Malyar, fotografa e studentessa universitaria, 19 anni: «Dopo la liberazione della città dovevamo tornare a casa e affrontare le priorità del presente: pensare alla ricostruzione, passare del tempo con i nostri cari, tornare a studiare e lavorare per sostenere il nostro Paese».

La raccolta fondi del comitato Razom ha quasi raggiunto l’obiettivo minimo di 32mila euro, con i quali potremo sostenere più della metà delle spese di costruzione del rifugio antiaereo. Ma sono convinto che con la fiducia e la generosità di cittadini, organizzazioni e importanti aziende del territorio potremo fare molto di più. È possibile donare con bonifico intestato a: comitato Razom; causale: donazione; IBAN: IT27R0853046 961000000259733. E-mail per eventuali contatti: comitato.razom@gmail.com.

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foto di Anna Malyar, a destra Edoardo Bosio

 Edoardo Bosio

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