Laura Pariani, premio Pavese: «I miei personaggi lottano» (INTERVISTA)

Il suo ultimo romanzo Apriti, mare! risale al 2021, ma a ottobre uscirà Selvaggia e aspra e forte ispirato al pittore Guido Boggiani

Laura Pariani, premio Pavese: «I miei personaggi lottano» (INTERVISTA)
Laura Pariani © Fabjo Hazizaj

L’INTERVISTA Il premio Pavese per la narrativa, consegnato domenica 10 settembre a Santo Stefano Belbo è andato Laura Pariani per aver ricostruito nelle sue opere «un mondo quasi completamente femminile e fiabesco», che l’avvicina «a certe voci femminili e adolescenziali messe in scena» da Pavese. Il suo ultimo romanzo Apriti, mare! risale al 2021, ma a ottobre uscirà Selvaggia e aspra e forte ispirato al pittore Guido Boggiani, entrambi per La nave di Teseo.

Pariani, nella sua produzione ha spaziato molto. Qual è il filo conduttore?

«Mi è sempre piaciuto raccontare storie con tanti mezzi, perché sono curiosa: è come un’esigenza. Il genere che preferisco è il romanzo. Quando scrivo cerco di raccontare la mia visione del mondo con personaggi che lottano, perché fa parte del mio carattere. A volte non vincono, anzi il più delle volte si fanno spaccare la testa, ma non perdono la faccia. Mi piacciono i personaggi femminili perché marginali nella storia ufficiale: è ora che le donne raccontino le donne. Oppure i bambini, verso i quali il nostro mondo è molto disattento».

Laura Pariani, premio Pavese: «I miei personaggi lottano» (INTERVISTA) 1Il suo ultimo libro parla proprio di loro in un avvenire distopico.

«È ambientato in un futuro abbastanza vicino a noi, dopo che è successo un disastro e sono morti tutti gli adulti, quindi non c’è più tecnologia, né chi trasmette il sapere o la memoria. Poi i bambini diventano grandi e rifanno società che non hanno niente di migliore delle precedenti».

Selvaggia e aspra e forte, in uscita a ottobre, è ambientato proprio dall’altra parte del mondo. Di che cosa parla?

«Racconta di un pittore dell’alto Piemonte di fine Ottocento, Guido Boggiani, che diventa famosissimo quando è giovane, conosce D’Annunzio e la società artistica dell’epoca. A vent’anni lascia tutto e se ne va nella foresta del Paraguay, che nel titolo associo a quella dantesca, dove muore per la sua passione per il paesaggio. All’epoca i fotografi giravano con grandi apparecchi pesantissimi, le lastre, il vetro, tutte le sostanze chimiche con cui dovevano sviluppare le foto, in mezzo a nuvole di zanzare. Lui ha fatto ritratti molto intensi degli Indios dell’epoca: io son partita da lì, spesso mi piace guardare fotografie perché mi mettono nella testa delle storie».

Che cosa ne pensa dei premi letterari?

«C’è premio e premio, non si può fare di tutta l’erba un fascio: alcuni sono chiacchierati perché guidati da logiche editoriali, che vanno al di là del valore dei libri. Però in sé è qualcosa di importante, significa che hai lavorato bene, soprattutto in un mondo in cui lo scrittore non ha grandi conferme, se non vende centomila copie. A me fanno piacere quelli intitolati ad altri scrittori, è come se entrassi a far parte di una tradizione».

In cosa si sente vicina a Cesare Pavese?

«Fa parte della mia educazione. Sono nata nel ‘51, era uno scrittore attualissimo. Il primo libro che ho letto è stato La luna e i falò: avevo quattordici anni e stavo andando in America; allora c’erano le navi di linea, che avevano a bordo delle biblioteche. Mi ricordo di esser rimasta molto colpita perché il personaggio protagonista era soprannominato Anguilla. A quel tempo c’era un rito quando si passava l’Equatore per la prima volta, perlomeno per i giovani. Si veniva buttati dentro l’acqua della piscina e il comandante ti battezzava con un nome di pesce: il mio era Anguilla».

Lorenzo Germano

 

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