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La Caritas albese ha aiutato duemila persone in un anno

La geografia della povertà nostrana dice che un terzo degli utenti è italiano; tra le altre provenienze emergono il Nord Africa e anche i Paesi non comunitari. Il 49 per cento delle famiglie seguite ha almeno un figlio piccolo

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ALBA C’è una realtà albese poco visibile a chi si ferma alla sola immagine da cartolina. C’entra con questioni complesse, per cui non sono ancora state trovate soluzioni efficaci. C’è il prezzo degli affitti, per esempio, che fa il paio con la tendenza a convertire abitazioni al turismo: basti pensare al fenomeno delle locazioni brevi, che diverse città italiane stanno cercando di contenere. E non si può evitare di parlare dell’illegalità diffusa in alcuni settori, come per la manodopera agricola, con lavoratori costretti a vivere in condizioni di estrema precarietà. Spiega Mario Merotta, direttore della Caritas diocesana: «Nell’ultimo anno, quella che chiamavamo “fascia grigia” si è spostata sempre di più verso il nero. Mi riferisco a persone o nuclei familiari che, fino a poco tempo fa, riuscivano a vivere anche con risorse minime, ma che si sono progressivamente “fragilizzati”. I fattori da considerare per il cambiamento sono diversi, basti pensare agli effetti della pandemia, su cui si sono innescati i rincari dei prezzi e l’inflazione del 2022. Come conseguenza, le condizioni della componente intermedia della popolazione sono peggiorate. Un anno fa, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, palesammo questo timore, che oggi è un dato fortemente indicativo anche del contesto sociale dell’Albese».

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Il quadro emerge dal nuovo rapporto dell’Osservatorio delle povertà e delle risorse, che la Caritas ha presentato sabato 7 ottobre.  Una serie di numeri fotografano gli elementi di fragilità del territorio, a partire dal profilo degli utenti che si rivolgono ai centri di ascolto diocesani, le “sentinelle” presenti nei diversi Comuni dell’area. Il periodo preso in considerazione va da settembre 2022 ad agosto 2023, «un anno di grandi cambiamenti, purtroppo non sempre positivi», precisa don Merotta.

Lo si comprende dal primo dato posto all’attenzione: l’aumento dell’utenza nel periodo considerato, con 791 persone o famiglie accolte dai centri sparsi sul territorio diocesano, 134 in più rispetto al report relativo ai dodici mesi precedenti, su un totale di 1.179 schede aperte. Si è tornati in pratica ai livelli del 2020-2021, il picco del periodo pandemico, quando era stato registrato un forte incremento delle richieste di aiuto. Rispetto al monitoraggio precedente è diminuito il numero di nuclei ucraini presi in carico: sono 35, il 4 per cento dell’utenza complessiva. Per la maggior parte di questi, è peraltro iniziato un percorso di autonomia, che ha permesso una nuova vita.

Ma come sono composte le famiglie seguite dalla Caritas? Spiega don Merotta: «L’utenza è variabile: il 31,6 per cento è dato da 250 persone sole. Si aggiunge un 15,8 per cento di coppie, circa 250 individui. Poi c’è il 16,3 per cento di nuclei formati da tre componenti, 387 utenti seguiti, che corrispondono a 129 schede. Per concludere, il 36,3 per cento è formato da famiglie con più di tre componenti, pari a 287 nuclei». In totale la Caritas ha aiutato più di duemila persone. Il 49 per cento delle famiglie seguite hanno almeno un minore. Il 31 per cento degli utenti è italiano, vale a dire uno su tre. Tra le altre provenienze, sono due le aree più rappresentate: il Nord Africa e un 26 per cento di posizioni i cui titolari sono originari di Paesi europei che non fanno parte dell’Unione europea.

L’età media è piuttosto bassa: tra 25 e 45 anni si concentra il 50 per cento del- l’utenza. C’è anche un 4 per cento di schede che riguarda persone con meno di 25 anni. Molto rappresentata è la fascia 46-60 anni, in cui rientra il 31 per cento dei nuclei, per arrivare al 15 per cento di over 60. «Emerge quindi la componente giovane, che supera persino i dati del periodo 2020-2021. Al contrario, rimangono stabili gli ultrasettantacinquenni, fermi al 2 per cento», conclude il direttore Merotta.

Sono ingenti le spese che sostiene la Caritas. Tra le voci maggiori, figura l’Emporio della solidarietà, che distribuisce cibo alle famiglie in difficoltà. In totale, la spesa del periodo è stata di 97mila euro. Il Centro di prima accoglienza di via Pola ha invece chiuso il 2022 con 369mila euro di uscite e 335mila di entrate, grazie a diversi contributi.

Francesca Pinaffo

Una società del benessere che non riesce a includere

Uno dei dati più significativi del rapporto della Caritas albese riguarda la condizione abitativa. Anche se il quadro è parziale, visto che le schede non specificano tutti gli elementi, il 26% degli utenti dichiara di vivere in affitto. Spiega don Merotta: «È questo uno dei temi più urgenti da affrontare: molte situazioni di disagio provengono da canoni di locazione esorbitanti, non certo in linea con i salari e i costi delle utenze. Parecchie persone si rivolgono a noi, soprattutto su Alba, sollevando il problema dell’affitto degli appartamenti, ma anche dei singoli posti letto in condivisione (nel caso di migranti). Se si cercano locazioni nei Comuni più lontani dalla città, i prezzi scendono, ma parliamo di aree in cui i trasporti sono molto carenti, aggiungendo difficoltà per un’utenza già fragile». Nel calcolo della Caritas, rientrano anche 14 persone senza fissa dimora, il 2 per cento del totale.

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«Oltre al problema del caro affitti, esiste una questione altrettanto diffusa: ci sono sempre meno alloggi disponibili, forse a fronte di un aumento delle locazioni turistiche brevi, mentre permane la ritrosia a concedere case a immigrati: la questione abitativa è un rompicapo che non riusciamo a risolvere». E c’è di più, se il 47 per cento degli utenti afferma di trovarsi in condizioni di povertà, non riuscendo a fare fronte alle spese della vita quotidiana. Per questo la Caritas risponde con una serie di servizi e progetti, a partire dall’Emporio della solidarietà, che nell’ultimo anno ha rappresentato una risorsa importante per 505 famiglie, per un totale di 1.510 persone, di cui 440 minori.

Fondamentale anche il Centro di prima accoglienza di via Pola, con la mensa e il dormitorio: la struttura ha riaperto da poche settimane, con 18 posti letto, già tutti occupati. All’interno, vi sono anche persone che lavorano, ma senza alcuna stabilità. Conclude don Merotta: «Se tutti i dati relativi alla nostra utenza sono peggiorati, tanto da tornare ai livelli pandemici, serve una riflessione collettiva. Ci troviamo all’interno di un tessuto sociale ricco, che non riesce a includere e accompagnare chi è in difficoltà: servono politiche mirate, a tutti i livelli, altrimenti si rischia di ampliare il gap tra chi è benestante e chi vive in povertà, al netto di una progressiva sparizione della fascia intermedia».

f.p.

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