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I piemontesi ora ritornano a casa

Nel 2021, 5.400 persone sono rientrate dall’estero, dove vivevano e lavoravano. Oltre il 43% in più rispetto al 2020

I piemontesi ora ritornano a casa

L’ANALISI Senza la possibilità di sognare si può alimentare la sfiducia. Per questo molte persone decidono di lasciare l’Italia ogni anno: il Paese non garantisce possibilità a tutti, non favorisce percorsi meritocratici e non consente alle famiglie l’accesso ad adeguati standard di vita.

Eppure, in Piemonte pare si stia invertendo la tendenza. Secondo il report dell’Istituto di ricerche economiche e sociali (Ires) pubblicato a novembre con il titolo La mobilità con l’estero dei piemontesi, nel 2021 si è raggiunto il più alto numero di rimpatri a partire dal 2015: 5.400 persone sono rientrate dall’estero, oltre il 43% in più rispetto al 2020. Allo stesso tempo è proseguito il calo degli emigrati all’estero: 17% in meno rispetto al 2020.

La tendenza è emersa già nel 2019, anno in cui oltre cinquemila piemontesi hanno scelto di rientrare, con un incremento del 65% rispetto al 2018. Oltre ai rimpatri, il Piemonte ha in quel contesto guadagnato circa quattromila residenti che hanno deciso di non espatriare. Infatti, nel 2019 la differenza tra chi è partito e chi è rimasto è stata sensibilmente inferiore al 2018: la variazione ha avuto come primo effetto quello di ridurre fortemente la perdita di popolazione nello scambio con l’estero. La ragione per cui si verifica il fenomeno è complessa e include vari fattori di natura fiscale, economica e sociale, come spieghiamo in queste pagine.

L’identikit delle persone interessate al ritorno a casa è eloquente. Nel 2021 gli italiani rientrati in Piemonte sono stati in lieve prevalenza uomini (55%): oltre il 40% aveva tra i 25 e i 44 anni, mentre circa il 30% era under 24 anni. Possiamo dire, dunque, che i giovani e i giovani adulti hanno sentito il richiamo della terra d’origine.

Rispetto al 2019, nel 2021 tra i rimpatriati è cresciuta la quota dei più giovani, passata dal 25 al 30%. Secondo i ricercatori Ires, in questo caso, bisogna tenere conto del periodo pandemico: «L’incremento si deve più probabilmente all’interruzione del periodo di formazione all’estero indotta dall’emergenza sanitaria piuttosto che all’aumento di attrattività del territorio nei confronti di personale altamente qualificato».

Il fenomeno dei rimpatri in Piemonte riguarda genericamente gli italiani, ma emergono interessanti differenze se distinguiamo tra nativi e naturalizzati. Questi ultimi sono coloro che, nati all’estero, hanno acquisito la cittadinanza e vengono definiti “nuovi italiani”. Nel 2021 per questi ultimi si segnala un saldo positivo con l’estero che, seppur di poche unità, è estremamente significativo (+46 persone). La quota di chi sceglie di rientrare in Piemonte è maggiore di quella di quanti decidono di emigrare.

Si tratta di un movimento demografico positivo che interessa la nostra regione in questi anni, contribuendo a riportare la bilancia complessiva su migliori equilibri. A causa della bassa natalità e dei movimenti migratori, la popolazione vede assottigliare le schiere più giovani, mentre gli anziani aumentano: se non interverranno nuove dinamiche – come quelle osservate, per esempio –, il fenomeno potrebbe causare in futuro un sovraccarico del sistema sanitario, una minore disponibilità di forza lavoro e squilibri importanti anche dal punto di vista sociale.

Maria Delfino

Arrivano di nuovo nella nostra regione anche i giovani del Sud, ma adesso sono laureati

I piemontesi ora ritornano a casa 1A livello numerico, secondo la ricerca di Ires Piemonte, nel 2021 gli espatri dalla nostra regione sono stati quasi ottomila e i rimpatri segnano invece quota 5.400. Nel 2020 queste cifre variavano considerevolmente: gli espatri erano oltre novemila e i rimpatri circa quattromila. Tra il 2015 e il 2017 le uscite si attestavano su una media di ottomila e i rientri si misuravano in circa duemila.

Questi numeri indicano una progressiva inversione di tendenza: i piemontesi che scelgono di andare via sono sempre meno, mentre chi torna aumenta le file. Sebbene la bilancia complessiva rimanga per ora negativa, l’analisi dei dati consente di individuare alcune linee di ottimismo dal punto di vista demografico.

Uno dei punti critici riguarda i titoli di studio: tra chi sceglie di tornare in Piemonte solo il 39% ha una laurea, contro il 46% di chi se ne va. Invece, ha la licenza media il 26% di chi rientra e il 18% di chi lascia la regione. Sul fronte del livello formativo, dunque, la capacità attrattiva del territorio non è ancora elevata.

Ciò non significa che le persone con un titolo d’istruzione più alto valgano di più, ma che il mondo del lavoro potrebbe essere condizionato da queste dinamiche in maniera importante, con una polarizzazione verso le mansioni di carattere manuale, meno che rispetto a quelle intellettuali.

In Piemonte il bilanciamento del fenomeno accade grazie al Meridione. I ricercatori Ires: «Nel 2019 a fronte di circa 1.400 giovani tra 25 e 44 anni in uscita per l’estero, la nostra regione ha ricevuto oltre 3.300 iscrizioni di persone provenienti dalle altre aree italiane, principalmente dal Sud, segnando perciò un guadagno di circa duemila unità. Inoltre, se osserviamo questi movimenti anagrafici sotto la lente del titolo di studio, emerge come il 63% degli “emigrati” provenienti dalle altre regioni italiane possiede almeno la laurea».

Ci sono anche dinamiche nazionali da segnalare. Se nel 2019 il Governo di Mario Draghi aveva confermato gli incentivi fiscali per chi sceglieva di rimpatriare dall’estero, l’esecutivo di Giorgia Meloni nelle scorse settimane ha approvato un decreto con il quale si prevede la riduzione dello sconto Irpef per i lavoratori altamente qualificati o specializzati che spostano la residenza fiscale nel nostro Paese. Così, se il taglio al- l’imposta era pari al 70%, d’ora in poi passerà al 50.

Nella pratica, per chi sceglieva di tornare in Italia dall’estero, per ogni 100 euro guadagnati solo 30 venivano calcolati per stabilire l’Irpef da pagare: a titolo di esempio, chi guadagnava 100mila euro l’anno pagava l’Irpef su 30mila. Dal 2024 invece chi introita 100mila euro sarà tassato su 50mila, con un significativo aumento delle imposte. È stato previsto inoltre un limite di reddito per accedere al bonus, con il tetto fissato a 600mila euro l’anno. Anche il requisito della residenza è stato rivisto: sarà necessario essere stati fuori dall’Italia almeno tre anni invece di due, prima di rientrare fruendo delle detrazioni.

Inoltre, i rimpatriati dovranno restare entro i confini nazionali almeno cinque anni, altrimenti rischiano di restituire lo sconto con tutti gli interessi. Potranno accedere alle facilitazioni imprenditori, dirigenti di alto livello, chi svolge una professione intellettuale o scientifica e professioni tecniche. Nel complesso, la misura del Governo Meloni fa discutere e preoccupa: nel solo 2021 circa 21mila persone con un reddito lordo individuale pari a circa 120mila euro hanno scelto di tornare in Italia grazie al bonus fiscale. Dal 2024 questo bacino potrebbe ridursi, con gravi danni sotto il profilo demografico, sociale ed economico per un Paese già molto in affanno.

Maria Delfino

Smart working e incentivi fiscali agevolano i rientri

L’INTERVISTA Parliamo con Elisa Tursi, ricercatrice di Ires Piemonte.

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Elisa Tursi, Ires

Nel 2021 si assiste a un incremento dei rimpatri. Da quali aree geografiche tornano i piemontesi, Tursi?

«Abbiamo in primo luogo l’Unione europea (34%), altri Paesi europei (23%) e l’America meridionale (18%). Si rimpatria in misura maggiore da Regno Unito, Francia, Germania, Svizzera, Spagna, Argentina, Brasile per il 50% delle iscrizioni anagrafiche dall’estero: 2.700 persone su circa 5.400».

Per quali motivi si ritorna in Piemonte?

«I dati mostrano un elevato flusso di rimpatri nel 2019, principalmente a seguito del decreto numero 34 del 2019, che ha rafforzato le agevolazioni fiscali, unite a misure per il radicamento rivolte ai lavoratori che trasferivano la residenza in Italia. La Legge di bilancio 2021 ha seguito la medesima traiettoria, estendendo le misure anche ai lavoratori rientrati in Italia prima del 2020. Se è indubbio che i provvedimenti abbiano incentivato il ritorno degli italiani dall’estero, allo stesso tempo le trasformazioni dell’organizzazione del lavoro, causate dalla pandemia, hanno rafforzato tale spinta».

A che cosa si riferisce?

«Al lavoro agile o smart working: il forte impulso dell’impegno da remoto come strumento per contrastare il diffondersi del Covid-19 ha permesso di riconsiderare alcune attività lavorative, affrancandole dai vincoli di spazio e di tempo. La prossimità tra luogo di residenza e sede di lavoro per alcune professioni è venuta meno e questo ha permesso di conciliare le aspettative professionali e retributive con il desiderio di avvicinarsi alle proprie reti e radici familiari o affettive. In altre parole il lavoro agile ha consentito di mantenere l’occupazione presso un’azienda estera e di trasferire la residenza in Italia. Tale cambiamento ha riguardato principalmente le cosiddette professioni della conoscenza, per le quali la digitalizzazione è stata più semplice».

Sulla base dei dati sin qui acquisiti, quale sarà lo scenario futuro?

«Gli esiti di questo processo – se non si rivelerà estemporaneo e strettamente connesso alla pandemia da Covid-19 – portano con sé scenari nuovi. Se i primi a rientrare sono stati coloro che, nati e cresciuti nel nostro territorio, sono emigrati per esigenze professionali, potrebbero prendere avvio movimenti di immigrazione di persone che scelgono il Piemonte per le sue caratteristiche. Monitorare il fenomeno dei rimpatri negli anni a venire permetterà sia di valutare l’efficacia delle politiche messe in atto al fine di attrarre popolazione (principalmente giovane e qualificata) sia di provare a comprendere quali siano i fattori più significativi che favoriscono il ritorno delle persone, come per esempio la digitalizzazione delle attività lavorative».  m.d.

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