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Sombela: «Mi metto nei panni degli altri usando la scrittura»

Martin Sombela
Martin Sombela

LA STORIA Parliamo con Martin Sombela, autore del libro Manhattan, tra realtà e fantasia, uscito in self-publishing con Youcanprint all’inizio dicembre.

Partiamo dalla sua storia, la biografia che precede il lavoro come autore. Come è arrivato fino a qui?

«Sono un ragazzo italo- africano di ventotto anni. Solare, paziente, testardo e pensieroso. Amo i libri, film, musica, amicizie vere, battute sulla disabilità, sport, cinema e viaggi (soprattutto in luoghi accessibili). Non amo il pessimismo, il baseball, gli amici finti, barriere architettoniche (mentali) e sacco a pelo (mi sento bloccato). La mia biografia letteraria? Ho scritto il primo testo, in seconda (terza superiore) dopo una batosta amorosa. Arrivato a casa, ho acceso il Pc e ho scritto. Si sono visti i miglioramenti dopo il secondo corso di scrittura creativa, avvenuto alle superiori. Mi piace scrivere in prima persona, ma mi diverte di più scrivere in terza. Si ha più libertà e si può giocare con tutti i personaggi e le loro emozioni».

Come nasce Manhattan?

«Manhattan è nato inconsciamente in prima superiore. Nei primissimi mesi del liceo la professoressa ci aveva iscritti a un concorso artistico sul tema del bullismo. Scrissi il testo da solo in cameretta, senza troppa convinzione. Consegnato entro i termini prefissati e poi dimenticato. Mi è tornato in mente quando la professoressa ha letto i nomi dei partecipanti, ne sceglieva tre. I primi due scontati, il terzo invece ero io. Sono rimasto stupito perché eravamo una trentina e i migliori si erano già fatti “conoscere” (e io non ero uno di loro). Arrivato a casa, con alcuni familiari ho corretto e sistemato il testo. Mi immaginavo sul podio, cosa che non è successa. Nonostante la buona posizione e il supporto di amici e familiari, mi sono scoraggiato e ho lasciato lo scritto da parte, per poi riprenderlo oggi».

Il testo racchiude molteplici dimensioni, dagli episodi di vita personale fino a varie aree di indagine.

«È un romanzo autobiografico, ma anche molto fantasioso. Ci sono frammenti di vita personale, alternati a episodi di amici e altri eventi inventati o estremizzati. La trama racconta la storia di alcuni ragazzi, è ambientato a Manhattan e l’anno preso in considerazione è il 2008. Ho mantenuto il tema principale, il bullismo, e ne ho aggiunti altri: musica, amicizia, religione e cinema».

Cos’è per lei la scrittura?

«Ho da sempre convissuto con la scrittura. Fino alle superiori però era più come un’ospite, che non sapevo come mettere a suo agio. Da pochi anni sto sperimentando l’immedesimazione. Mi metto nei panni di persone, perlopiù sconosciute. Quelle che vengono meglio sono legate alle mie carrozzine o a mia mamma Octavina. Pur non avendola mai conosciuta, mancata poco dopo avermi dato alla luce, sono riuscito a parlare di lei. Quei lavori però sono pochissimi e calibrati con le pinze. Mi danno molte emozioni, gioie, ma non voglio abusarne».

Valerio Re

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