Abitare il piemontese: oggi ci mangiamo un sukaj (caramelle gommose)

Beppe Fenoglio 22, ultimo capitolo “Una questione privata”, gli appuntamenti dal 20 al 26 febbraio
Paolo Tibaldi

ABITARE IL PIEMONTESE  Da qualche tempo mi chiedo come mai le caramelle denominate sukaj portino questo nome. Che sia un vocabolo di fantasia è probabile, ma anche i nomi inventati hanno una loro ragion d’essere. Prenderanno ispirazione dallo zucchero da cui sono composte e avvolte? In effetti, zucchero in piemontese si dice sucre e l’assonanza si fa notare. Sarà perché è necessario succhiarle per gustarsele? Entrambe le ipotesi hanno effettivamente un fondamento, ma l’origine può essere ancora più antica. Una delle risposte trovate, pur sempre ipotetiche, riconduce l’origine del nome del confetto gommoso a suk, ovvero dal tradizionale mercato arabo famoso nel mondo per i colori e gli aromi delle sue spezie. I sukaj sono profumati all’arancia, liquirizia e varie erbe aromatiche. Insomma, un perfetto riassunto di aromi e mescolanze del mercato arabo. Del resto, pur essendo il piemontese una lingua neolatina, non è la sola parola che trae le mosse da idiomi arabi.

Dal 2008 ho la fortuna di fare parte della Compagnia del Nostro teatro di Sinio. Fin dal mio primo spettacolo vidi arrivare dalla platea la signora Giovanna (la mamma di Madì) con un sacchetto giallo di stoffa: il contenitore personale dei sukaj. Giovanna, dietro le quinte, offriva un confetto a tutti, convincendo anche gli indecisi, creando il bisogno di assaporarne uno per il bene proprio e dello spettacolo. Capii che era un momento tradizionale, consolidato negli anni. Prendere quel sukaj era ritualità, scaramanzia, golosità, fino a cura della voce. Di fatto tutti avevamo piacere di accettare l’offerta di Giovanna, soprannominata unanimemente Madàma sukaj, ovvero la Signora dei sukaj. I suoi confetti erano più buoni, forse per quel gesto che la rendeva a pieno titolo una compagna di palco che sta continuando a guardarci da lassù.

Paolo Tibaldi

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