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Abitare il piemontese: questa settimana “tira” il Maȓìn

Abitare il piemontese: la parola della settimana è Possacafé 15

ABITARE IL PIEMONTESE Se la conoscenza è apprendimento tramite intelletto, la sapienza richiede esperienza diretta e sensoriale. Sapere e sapore, in fondo, sono la stessa parola (dal latino sàpere) e attraverso i cinque sensi passa il loro riconoscimento. Da sapere non vengono solo parole come assaggiare e sapidità, ma anche sapienza e saggezza. La conoscenza è teoria, la sapienza è pratica. Nella lingua piemontese, il lessico marittimo è piuttosto limitato per l’assenza del mare. Eppure la correlazione tra la regione pedemontana e il mare è costellata di riferimenti; basti pensare all’aspetto storico (i liguri stazielli) oppure commerciale (la via del sale), quello gastronomico (l’acciuga) fino a quello naturale: il Maȓìn! È proprio il caso di dire: qual buon vento!

A San Valentin tute ȓ’aȓie van ën maȓìn (a San Valentino tutte i venti diventano Marino), ovvero dalla metà di febbraio in poi, in Piemonte comincia soffiare il vento dal mare: sano, sapido e mite, che risveglia e chiama la primavera. Per ovvi motivi geografici, la zona dove arriva a soffiare prima che altrove il vento maȓìn è l’alta Langa, il territorio più prossimo al mare. La parola di questa settimana però ha anche un altro significato, altrettanto antico, ma decisamente infausto. Riguarda l’ambito agricolo, in particolare l’inaridirsi della frutta a causa di malattia o per gelo. Il maȓìn ross (marino rosso) è la ruggine del grano, il maȓìn nei (marino nero) è una malattia degli alberi ancora incurabile. Il maȓìn gris (marino grigio) è il marciume di colore grigio, ma la maledizione peggiore il maȓìn bianch (marino bianco), ossia l’oidio, nota malattia della frutta.

Dal 1860 e fino almeno al 1930, le campagne piemontesi furono seriamente martoriate dalla malattie legate alla natura: l’oidio, la fillossera e la peronospora. Una condanna per la civiltà contadina che annullò di fatto qualsiasi prospettiva futura. Mentre Torino era capitale del cinema (con l’uscita del primo grande colossal Cabiria nel 1914), le Langhe erano nel pieno della Malora, con la gente anche costretta a emigrare, probabilmente in Argentina. I successi di oggi devono tenere conto delle tribolazioni impietose di un passato ostile.

Paolo Tibaldi

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