Pinot Gallizio: «Sento di essere almeno 50 anni più avanti di voi»

L'Ordine dei Cavalieri delle Langhe organizzerà una mostra su Pinot Gallizio 3

ANNIVERSARIO I sessant’anni che ci separano dalla morte di Pinot Gallizio corrispondono, in sostanza, a quelli da lui vissuti: morì la notte stessa del suo sessantaduesimo compleanno, il 13 febbraio 1964. Forse questo calcolo, questa specularità (l’intervallo di una seconda vita trascorsa nel frattempo) turbano solo sulla carta, più di quanto dovrebbero; o forse, a chi si imbatta oggi per la prima volta nel suo nome, quella dell’artista albese parrà davvero una figura lontanissima, chissà.

Eppure, basta fare qualche passo nella sua direzione, cioè in direzione della sua opera, per avvertire un’energia mai affievolitasi nel tempo, che continua ad attrarci e modificarci in una costante meraviglia. È un’opera viva e vitalissima, che non si spegne in una collocazione di comodo, o ideologica, o in un qualsiasi passato; e parla a tutti, con i tratti della sincerità e della generosa disponibilità del suo autore, che da tutti desiderava farsi capire.

Del resto, a scorrere le testimonianze, erano queste le impressioni che chiunque riportava, con modi e considerazioni diverse, da un incontro con Pinot Gallizio e con l’ambiente e le situazioni che attorno a lui prendevano forma. Chi si avvicinava a Gallizio, «forza della natura e dello spirito colmo di calore umano», diventava invariabilmente «partecipe della sua immaginazione smisurata e stimolante», dichiarava il direttore del museo Stedelijk di Amsterdam, Willem Sandberg, che apprezzava il suo «gioco» (serissima parola-chiave) contrario a ogni gabbia convenzionale e a ogni sussiego.

E che altrove aveva confessato come fosse stata per lui una «grande rivelazione» la visita ad Alba della sua casa-laboratorio, dove aveva sentito soffiare «l’umanità del nostro grande XX secolo». Era quel «vecchio convento con cantine e saloni, roba da fantasmi» (come lo descrisse teatralmente lo stesso Gallizio a un gallerista), che a un altro visitatore sembrò «un’antica chiesa affrescata (…) un luogo profondo, sotterraneo, e nello stesso tempo caldo, rutilante di luci»: luogo di incontri, sperimentazioni ed evocazioni, una fabbrica di miti, questa sì oggi perduta per sempre.

L'Ordine dei Cavalieri delle Langhe organizzerà una mostra su Pinot Gallizio 1

Non a tutti comunque riuscì a parlare, facendosi capire, Pinot Gallizio nei suoi giorni, e anche in qualcuno dei successivi: per motivi diversi, da ricercare ogni volta nei luoghi specifici dell’eventuale incomprensione.

Gli fu di ostacolo, specie in ambito locale e secondo un’ottica conformistica, la sua stessa sovradimensione, la sua esuberanza, la sua estrosità (da sempre termine ambivalente, in certe bocche, perché in realtà diminutivo, se non spregiativo) che lo confinò nel personaggio, nella macchietta.

Fu sospetta, in un circuito più ampio e a livello di critica accademica, la sua irregolarità di pittore esordiente a 50 anni, profano e senza accademia ma dotato di cultura sotto l’apparente istintualità (lo stesso equivoco di cui fu vittima Beppe Fenoglio), capace di fondersi con passione e mai superficialmente con esponenti molto più giovani di lui senza paternalismi, da pari a pari, in avanguardie europee assai critiche e intelligenti (dunque indigeste).

Il suo stesso eclettismo (la solita lista: archeologo, chimico, erborista, eccetera) fu percepito come un limite, come il sintomo di un’incostanza anziché il carattere di uno spirito umanistico, di un «uomo intero», come scriveva negli stessi anni Luciano Bianciardi, lamentando che «oggi invece spezzettano l’uomo e poi se ne vantano: la chiamano specializzazione e mi fanno ridere».

Pochi capirono che l’autodefinizione di amateur professionnel non era solo un divertente gioco di parole, ma una indicazione di stile nel segno della consapevolezza e della libertà, contro la finzione sepolcrale di molte patenti e curricula.

  • L’articolo completo e le iniziative albesi sul numero di Gazzetta in edicola

 Edoardo Borra

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