Gai: non è tempo di liti tra vicini, ci serve l’Ue

L’ingegner Carlo: oggi un’industria sostenibile e tecnologicamente avanzata non soltanto è possibile ma è anche l’unica soluzione del futuro; eppure occorrono strategie condivise da perseguire insieme

Gai: non è tempo di liti tra vicini, ci serve l’Ue

L’INTERVISTA  La Gai di Ceresole, un’azienda ben nota ai lettori di Gazzetta d’Alba, specializzata nella fabbricazione di macchine imbottigliatrici esportate in tutto il mondo, ha proseguito la propria attività anche in queste tormentate settimane di pandemia da Covid-19. Ne abbiamo parlato con l’ingegner Carlo Gai – seconda generazione della famiglia, ancora al timone, con figli e nipoti –, che ha delineato per noi alcune delle strategie messe in atto. Sebbene l’emergenza coronavirus renda difficoltoso parlare di scenari per il futuro, l’azienda ceresolese poggia su due solide certezze: innovazione tecnologica e attenzione verso l’ambiente, che ne hanno fatto un esempio per l’imprenditoria nazionale.

Come avete risposto alle dure condizioni di lavoro imposte dall’emergenza sanitaria, Gai?

«L’azienda non ha mai cessato la propria attività, perché il codice Ateco in nostro possesso ci ha consentito di restare al lavoro. Ci riteniamo, per questo, relativamente fortunati. Delle circa 250 persone impiegate presso la sede di Ceresole, quasi l’80 per cento risulta in questo momento operativo. Laddove possibile, è stato applicato lo smart working. Dobbiamo spiegare che operiamo all’interno di una struttura di circa 50mila metri quadrati e questo rende molto più agevole il rispetto delle distanze di sicurezza».

Quanto risente l’attività della chiusura forzata imposta in tutto il mondo?

«Gli ordinativi sono drasticamente calati e, ovviamente, anche le spedizioni dei fornitori faticano ad arrivare. Se disponiamo ancora di un quantitativo utile di materia prima, è perché attingiamo a scorte di magazzino. È molto complicato lavorare in queste condizioni».

La Gai opera nel mercato globale. Come valuta l’attuale situazione?

«Dobbiamo il 70 per cento del nostro fatturato all’export. Non sono un medico e neppure un economista, ma da imprenditore non posso nascondere la mia preoccupazione. Temo dovranno essere ulteriormente ritoccate in negativo le stime che si leggono in questi giorni circa la contrazione del Prodotto interno lordo. Non entro nel merito delle misure previste dal decreto Liquidità, ma mi limito a dire che ci troviamo in una situazione in cui si rendono necessari interventi ampiamente condivisi e su vasta scala. Non è il tempo delle liti tra vicini, serve invece una grande concordia europea».

Robotica avanzata e attenzione per l’ambiente, un binomio che è quasi un imperativo per la vostra azienda. Crede che dopo quanto accaduto altri perseguiranno questa strada?

«Me lo auguro. Un’industria sostenibile non solo è possibile ma è l’unica soluzione per avere un futuro. Proprio come un’industria che si serve delle migliori tecnologie. Ho l’impressione che la robotica sia, ancora, per l’opinione pubblica un oggetto del mistero. Sfatiamo invece il mito che i robot possano sostituire l’uomo nel lavoro. Queste giornate di difficoltà pandemica ne sono la prova. Le macchine possono aiutare la produzione, ma per poter operare necessitano dell’intelligenza umana».

E l’ambiente, tanto vituperato e dimenticato?

«Le faccio solo un esempio. Nel momento in cui le parlo, lo stabilimento vede soddisfatto il proprio fabbisogno energetico esclusivamente ricorrendo all’energia solare. Questa autonomia, di cui siamo orgogliosi, non deve però essere confusa con l’autarchia. Siamo consapevoli di essere legati mani e piedi con il resto del mondo, come ogni azienda, del resto. Per ripartire, però, serve a poco essere virtuosi individualmente. Torno a ripetere: urgono, invece, delle strategie condivise da perseguire insieme».

Alessio Degiorgis

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