Pippo Baudo: «La tv di oggi è fatta per gli addetti ai lavori»

Non è un caso che nel 150° anniversario dell’unità d’Italia l’Alba international film festival abbia avuto come ospite d’onore Pippo Baudo, storico conduttore televisivo che ha perseguito per molti versi l’obiettivo di «fare gli italiani» attraverso i suoi programmi.

Lui stesso ha dichiarato di voler rendere la televisione «nazional-popolare»: l’ha fatto curando i “riti” televisivi del sabato sera e della domenica pomeriggio, con cui intratteneva i primi telespettatori della rete nazionale parlando l’italiano corretto e mai troppo difficile, che è arrivato così in tutte le case. Di questo linguaggio televisivo, ormai parte del passato, e della televisione di oggi, più dispersiva e varia, Baudo ha parlato con lo storico televisivo Giorgio Simonelli, sul palco dell’auditorium della fondazione Ferrero, venerdì 3.

Una serata che ormai da tradizione il festival albese dedica all’analisi della televisione, e che nella sua decima edizione ha voluto intitolare “Unità nazionale e televisione popolare”.

Pippo Baudo

Giorgio Simonelli e Pippo Baudo sul palco della fondazione“Ferrero”, venerdì scorso (foto Severino Marcato).

Ha parlato del Basic, il linguaggio usato oggi sul grande schermo, che vi permette di usare solo alcuni termini. In quale altre forme la televisione è limitata rispetto al passato?

«La televisione attualmente è fatta solo per gli addetti ai lavori, anche nell’informazione. Se il telegiornale spiegasse le notizie, arriverebbe molto di più al pubblico. Senza fare graduatorie o differenziazioni, i telegiornali in genere hanno un linguaggio criptico; ti dicono che si deve riunire il Consiglio dei ministri ma non ti spiegano cos’è. Avrei voluto condurli io, con quattro fogli di giornale in mano: cercando di spiegare semplicemente quello che è successo. Lo sta facendo, con grandi risultati, Mentana. Con lui il telegiornale di La7 è passato dal due per cento degli ascolti al 12 per cento. Un salto enorme».

In questo senso l’informazione italiana è poco adatta alla televisione “nazional-popolare” che vorrebbe lei?

«Certo. Parlare difficile è facilissimo. Il bello sarebbe esprimere concetti forti e importanti con un linguaggio che tutti capiscono. E alla fine andrebbero a letto tutti più contenti, più “imparati”».

Il rimprovero che lei fece ai calabresi, riguardo al loro comportamento verso gli immigrati, può essere comparato all’intervento di Celentano ad Annozero, sul nucleare. Per voi “intoccabili” dello spettacolo intervenire in circostanze tanto delicate è d’obbligo o sconveniente?

«È chiaro che intervenendo su argomenti a sfondo politico il pubblico viene diviso, e magari qualche ammiratore che non la pensa come te perde un po’ di stima nei tuoi confronti. Ma questo dimostra il coraggio enorme che ha avuto Adriano Celentano ad Annozero. Queste riflessioni sulle centrali nucleari lui le esprime da anni, non come scienziato, ma come poeta, come uomo emotivo che, con grande coraggio e umiltà intellettuale, esprime i suoi dubbi verso l’utilizzo dell’atomo. Adriano mi è piaciuto molto ieri sera: noi del nucleare non sappiamo nulla e nessuno può dirsi totalmente preparato sul tema, nemmeno gli scienziati. La fusione fredda, che è l’unica cosa che salverebbe il nucleare, facendolo diventare pulito, non è mai riuscita, anche se sono anni che provano a ottenerla. Questo è un grosso ostacolo, perché con la “fissione” i risultati sono quelli che abbiamo visto fino a ora».

Che cosa le piace guardare in televisione?

«Report mi piace moltissimo: la Gabanelli è molto coraggiosa. E Rai3 fa un’informazione molto bella. Non è tutto da buttare, c’è qualcosa di buono. Ma si deve costruire molto di più perché i canali sono tanti e il pubblico sta diminuendo, non dimentichiamo che oggi su 60 milioni di italiani tre sono stranieri e non guardano la nostra televisione. Parliamo ancora in termini antichi, ma fare dieci milioni di ascoltatori oggi è difficilissimo».

Chiara Cavalleris

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