(Af)fondati sul lavoro

L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, dice la Costituzione. Mai dati che riguardano il tessuto occupazionale nazionale sono preoccupanti. Se 14 milioni di persone possono contare su un contratto a tempo indeterminato, oltre 5 milioni di lavoratori sono occupati con contratti di collaborazioni, a termine, stage, praticantati, finte partite Iva. La precarietà è una condizione che nel corso degli anni è andata aumentando, non solo tra i giovani. Tra il 2004 e il 2010 il numero di lavoratori a tempo è cresciuto del 14 per cento. E il 67,7 per cento dei titolari di un contratto a tempo determinato ha tra i 30 e i 49 anni, la stessa età del 47,9 per cento degli atipici. In Piemonte gli occupati sono diminuiti di 16 mila unità nel periodo e la disoccupazione ha registrato un tasso del 7,6 per cento, il livello più alto di tutto il Centro-Nord: significa 150 mila persone alla ricerca di un lavoro, contro le 80 mila del 2007.

Sono diminuiti i lavoratori a tempo pieno (-42 mila) e aumentati i part-time (+26 mila); sono calati anche i posti stabili (-20 mila) e incrementati gli impieghi temporanei (+12 mila). In controtendenza viaggia Cuneo, che resta l’eccellenza piemontese. Secondo i dati elaborati dalla Provincia i contratti a tempo determinato sono aumentati dal 2010 al 2011 del 1,5 per cento e quelli a tempo indeterminato del 5,8. E Alba migliora ancora il suo primato, vedendo crescere i contratti a tempo determinato dell’8,7 per cento e quelli a tempo indeterminato addirittura del 21,7, un vero e proprio boom. «Ad Alba c’è una buona imprenditorialità», commenta l’assessore alle politiche del lavoro Olindo Cervella. «C’è un incremento dei rapporti con l’estero, un comparto turistico in evoluzione, crescono le industrie dell’alimentare e metalmeccaniche. Mi sembra di poter dire che Alba resta un’isola felice». Si parlerà proprio di lavoro con l’associazione Albaccano il 23 marzo, alle 21, nella sala dello sport di via Manzoni 8. L’incontro, dal titolo Una Repubblica (af)fondata sul lavoro, vedrà la partecipazione di Sonia Bertolini, docente di sociologia del lavoro all’Università di Torino, e dell’avvocato Elena Poli, consulente legale della Fiom.

Maurizio Bongioanni

foto Corbis

L’intervista

Professoressa Bertolini (docente di sociologia del lavoro all’Università di Torino) che cosa pensa della crescita del lavoro atipico? «Nelle mie ricerche mi sono occupata in particolar modo di verificare se e come l’introduzione del lavoro atipico abbia portato allo sviluppo di nuovi meccanismi di segregazione femminile. Per lavoro atipico parliamo di tutte quelle forme di lavoro che non presentano le garanzie legate ai contratti subordinati o indeterminati. Inoltre, le mie ricerche mirano a descrivere i meccanismi attraverso i quali i lavoratori flessibili cercano di garantirsi una continuità lavorativa e di reddito e una protezione contro il rischio».

Quali sono? «È fondamentale l’investimento in capitale umano, spesso a proprie spese, per formarsi una professionalità rivendibile sul mercato. La protezione della famiglia nei periodi di inattività è essenziale per ripararsi dalla discontinuità del reddito. Le conseguenze dei contratti atipici, inoltre, non sono positive a livello professionale, perché tra i lavoratori atipici si è riscontrata la perdita di progettualità di lungo periodo sia a livello lavorativo, che di vita. Allo stesso tempo anche le aziende ci rimettono, perché perdono professionalità specifiche».

In tale prospettiva, qual è il ruolo della donna? «Le donne vivono in maniera più forte i rischi connessi alla condizione di lavoratore atipico. Inoltre, mentre per gli uomini la famiglia costituisce una risorsa, per le donne è spesso un vincolo. Il carico familiare si somma al lavoro e spesso le donne si trovano a dover dare priorità all’occupazione del marito. Per non parlare della maternità che per una donna può significare o un mancato rinnovo del contratto o la non trasformazione del contratto a tempo indeterminato. Una ricerca del Censis rilevava già dieci anni fa che il 15,8 per cento delle donne che lavorano con contratti atipici sarebbero disposte a rinunciare ai figli, o lo hanno già fatto, per un lavoro soddisfacente».

ma.bo.

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