A cura di Gloria Tranquilli (Direttore tecnico) e Claudia Cremonini (Direttore ai lavori).
Particolare dopo il restauro (click per ingrandire)
Affrontare il restauro di un capolavoro così significativo e importante per la città di Venezia e per la cultura artistica in generale, con la consapevolezza di dover metter mano a un’opera gravemente danneggiata, non è impresa facile. La lettura dell’esaustivo saggio del 2004 di Giovanna Sarti, che ripercorre con accuratezza la storia conservativa di questo straordinario notturno, non portava verso premesse incoraggianti. Si apprende dal testo quante volte la tela di Tiziano sia stata oggetto di “attenzioni” da parte di conservatori e restauratori che, incaricati del restauro nel corso dei secoli, ne descrivono solleciti i gravi danni esprimendo dubbi, con ricorrenza esemplare, circa la possibilità di un recupero. Passando dalla documentazione storica all’opera, ci si poteva aspettare di trovare, nel primo altare a sinistra della chiesa dei Gesuiti un lacerto, un frammento illeggibile. La superficie dipinta del “Martirio di San Lorenzo” appariva senz’altro alterata da uno spesso strato di vernice che ne rendeva difficile la lettura, soprattutto dei dettagli compositivi in secondo piano, ma non aveva l’aspetto di un’opera definitivamente perduta.
Dal momento in cui è stato possibile affrontare un nuovo restauro per restituire una migliore leggibilità al capolavoro di Tiziano, è sembrato doveroso cogliere l’occasione sia per indagarne il reale stato di conservazione, attraverso gli strumenti che la scienza applicata al restauro mette a disposizione oggi, specialmente nelle fasi preliminari all’intervento operativo, che per approfondire la conoscenza della tecnica di esecuzione. Innanzitutto, era importante verificare se la tela originale fosse stata eliminata e sostituita, secondo quanto desumibile dal carteggio del 1882 fra il Ministero e la Commissione Accademica che aveva incaricato Guglielmo Botti di valutare la possibilità di eseguire “il lievo” della tela originale.
Nonostante le foderature effettuate in passato,infatti, il colore continuava a distaccarsi, avendo perso l’adesione al supporto: l’ipotesi di ripetere l’operazione di foderatura fu scartata da Botti che, con un piccolo colpo di mano, stando ai documenti conservati nell’Archivio dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, operò in autonomia realizzando il trasporto della tela, senza l’autorizzazione ufficiale della Commissione. Prima di procedere al restauro, altrettanto importante era comporre la reale mappatura delle lacune di colore e stabilire l’entità dei danni subiti, individuando con maggiore precisione possibile sia i materiali costitutivi che quelli non originali sovrammessi. In particolare, nel progetto era necessario valutare la possibilità di eseguire una pulitura graduale e selettiva, per realizzare in completa sicurezza la rimozione dei materiali non originali, soprattutto colle e vernici oleo-resinose che, nella descrizione delle operazioni documentate dalle carte d’archivio, sembrava fossero stati stesi in abbondanza e più volte sulla superficie dipinta. Una pulitura ragionata, guidata dal confronto dei risultati delle indagini scientifiche, avrebbe potuto rivelarsi risolutiva in funzione della possibilità di ristabilire un equilibrio cromatico al dipinto, ormai del tutto alterato.
Dalla prima osservazione visiva, le condizioni strutturali del dipinto sembravano soddisfacenti, il supporto non appariva deformato e il tensionamento della tela sul telaio regolare e uniforme, così come buona era l’adesione degli strati pittorici. La successiva ispezione, eseguita nel laboratorio dei restauratori Nicola, confermava quanto rilevato dopo la movimentazione del dipinto, ovvero che la foderatura eseguita da Mauro Pelliccioli nel 1959 era ancora efficiente. La riprova del trasporto ha avuto luogo quando sono stati rimosse alcune stuccature e si è potuto notare come il supporto tessile avesse una trama diversa dalle tracce impresse sugli strati pittorici da quella originale, una saia diagonale. Sulla tela di trasporto, Mauro Pelliccioli aveva eseguito una foderatura a colla di pasta utilizzando un’unica tela di lino. Grazie alle indagini preliminari, soprattutto alla radiografia dell’intero, sono stati visualizzati i danni della pellicola pittorica, di varia entità ed estensione: lacune di profondità, localizzate soprattutto nella parte inferiore, come previsto, abrasioni superficiali e un fenomeno ripetuto di apertura dei cretti, in corrispondenza dei toni bruni delle zone d’ombra. Nonostante tutto, si poteva percepire l’opera come integra, nel senso che, nonostante le lacune, risultava evidente quanto fosse preservata l’unità formale e se ne potesse apprezzare la qualità. Le riprese a luce ultravioletta davano indicazioni precise soltanto in relazione agli ultimi interventi, evidenziando lo spessore delle vernici più recenti e dei numerosi ritocchi, ma non permettevano di valutare la distribuzione sulla superficie dipinta di altri materiali non originali più antichi, come ridipinture e patinature. Sono stati pertanto prelevati alcuni campioni di colore per eseguire sezioni stratigrafiche che aiutassero a verificarne l’effettiva presenza.
La pulitura si è quindi svolta in due fasi: rimozione delle vernici e successivo assottigliamento delle patinature che nella maggior parte della superficie del dipinto sono state eliminate quasi completamente con il risultato di veder emergere pennellate vibranti, pentimenti e dettagli figurativi prima poco visibili, “sepolti da questi spessi strati alterati. Il recupero del tessuto pittorico originale, dopo questa lunga e delicata operazione, è stato considerevole e ne dà conto con dovizia di particolari la relazione di Anna Rosa Nicola, direttore tecnico della ditta che ha eseguito il restauro.
Sia questo intervento che quelli successivi prima di iniziare la reintegrazione pittorica, cioè la rimozione dei vecchi stucchi, di cui sono state individuate cinque diverse tipologie, la nuova stuccatura e la verniciatura, hanno richiesto tempo e riflessione poiché è stato chiaro fin dall’inizio di questa impresa quanto fosse necessario dedicare al “Martiro di San Lorenzo” una speciale attenzione sia nella metodologia di intervento che nella scelta dei materiali da utilizzare.
Si è posto particolare impegno nel decidere quali vernici usare per saturare la superficie dipinta che, dopo la pulitura, risultava disomogenea non tanto per l’operazione in sé, condotta con rigore, quanto perché l’asportazione delle patinature aveva messo in evidenza la difformità tecnica delle stesure pittoriche con le quali Tiziano ha costruito il notturno illuminato dai fuochi: pennellate corpose e dense di pigmento nelle figure in primo piano e velature con pigmenti scuri più liquidi per lo sfondo architettonico. Per non accentuare tale difformità, si è deciso di stendere una prima mano di vernice di resina naturale molto diluita, stabilizzata con un filtro anti UV. e sciolta in solventi aromatici, in modo da saturare soprattutto le zone più aride, cioè quelle scure, senza dare brillantezza eccessiva alle pennellate ricche di colore. La compatibilità di tale vernice con i materiali costitutivi del dipinto, inoltre, fa sì che essa possa funzionare da filtro rispetto alla seconda mano, per la quale è stata invece utilizzata una vernice sintetica. La superficie dipinta, satura ma non lucida, ha riacquistato in questo modo un giusto equilibrio e ciò ha aiutato i restauratori ad affrontare la fase finale di integrazione pittorica nel modo più corretto. Le lacune di profondità più estese, dove era necessaria una seppur minima ricostruzione di dettagli figurativi, sono state reintegrate a tratteggio, mentre le abrasioni e le piccole lacune sono state trattate a tono con velature trasparenti, sempre nell’assoluto rispetto della qualità del tessuto pittorico originale, la cui potenza espressiva è pienamente apprezzabile, ora, a restauro concluso.