Lionello Puppi (Professore emerito di metodologia di Storia dell’arte, Università Cà Foscari, Venezia).
La prima fase dell’attività di Tiziano – nato a Pieve di Cadore in data imprecisata tra 1485 e 1490 ma trasferitosi ancora fanciullo a Venezia sul finire del secolo – risente del tardo Giambellino e, Sovratutto, di Giorgione del cui tonalismo il giovane Maestro offre un’interpretazione dinamica, ma pacata e fatta di cadenze maestose che impalcano talora assetti monumentali grazie ad una armoniosa calibratura del rapporto tra i colori sontuosi e la luce. Si tratta di un momento di felice certezza classicistica scandito da capolavori quali l’“Amor sacro e profano”, 1514-1515 (Firenze, i cosidetti “Baccanali” peri “camerini” di Alfonso I d’Este, 1518-1519 (Madrid, Prado), il politico Averoldi della chiesa dei Ss. Nazaro e Celso di Brescia, 1522, la “pala Pesaro” della chiesa dei Frari a Venezia, 1518-1526; e via via sino al suggello costituito dall’Uccisione di S. Pietro Martire” della chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo a Venezia (distrutto dal fuoco nel 1867). Nel contempo, Tiziano vien fissando uno schema ritrattistico a mezza figura ma con le mani visibili, che gli consente straordinarie variazioni compositive capaci di cogliere e fissare la verità psicologica di identità inconfondibili: ciò che, nel momento in cui farà del Vecellio uno dei maggiori ritrattìsti d’ogni tempo, gli decreterà, frattanto, immensa fortuna e richieste d’ogni dove su raggio europeo.
La compiaciuta purezza formale, con il sensuale naturalismo che essa impalca, entra in crisi all’avvio degli anni Quaranta, e basti guardare il “Cristo esposto al popolo” dipinto nel 1543 per S. Maria delle Grazie a Milano (oggi Parigi, Louvre): se è fuor dubbio che, a sollecitarla, siano stati Farrivo a Venezia di manieristi tosco-romani quali il Salviati e il Vasari e quindi, con particolare veemenza, l’esperienza romana di Michelangelo e delle antichità tardo-romane, non meno certo è che si trattò anche di una sopravvenuta, sfiduciata riflessione sulla propria condizione di artista. Il pur costante ricorrere letterale ai temi umanistici e mitologici (le “poesie” per Filippo II), così come la proposta di nuovi motivi religiosi (la “Maddalena”, l”‘Ecce Homo” e la “Madre dolorosa”; altri) e la persistente predilezione per il ritratto, vengono progressivamente sottoposti all’azione corrosiva di un sottile e radicale criticismo che si traduce in sovversione linguistica che brucia e dissolve in puro evento luminoso – a muovere proprio dal “Martirio di San Lorenzo” di Venezia e sino ad attingere l’“Apollo e Marsia” della Galleria vescovile di Krorneriz e, alla vigilia della morte (avvenuta il 27 agosto 1576), l’incompiuta “Deposizione” oggi nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia -, attraverso un processo di magica alchimia cromatica, ogni richiamo ad una natura moralizzata, e decreta dunque il naufragio obiettivo della fede classicista.