Il vino tra produzione e mercato

ALBA C’era la platea delle grandi occasioni al Teatro sociale alla cerimonia inaugurale del sessantottesimo Congresso nazionale di Assoenologi, l’associazione che raggruppa i professionisti della vite e del vino e che in Piemonte conta il numero più elevato di associati, oltre 600 sui 4.000 totali. Le autorità ai vari livelli hanno portato i loro saluti, a cominciare dal sindaco Maurizio Marello, che ha sottolineato il valore storico e attuale della Scuola enologica, e il ministro delle politiche agricole, Nunzia De Girolamo, che in un messaggio ha ricordato con un parallelismo efficace come il settore agricolo (e ancor più quello vitivinicolo) sia «il centro storico dell’economia d’Italia». Paolo De Castro, presidente della Commissione agricoltura al Parlamento europeo, ha portato notizie fresche sulla trattativa che dovrebbe condurre, almeno per qualche anno, al mantenimento dei diritti di impianto prima che, nel 20192020, si passi al sistema delle autorizzazioni.

Da sx Cota-Nardoni-Martella-Cotarella-Sacchetto-Cane-Marello 2

Più sottotono gli interventi dei nostri politici regionali, a cominciare dal presidente Cota il quale si è perso in una sterile polemica sugli ipotetici dazi sul vino italiano che potrebbero essere applicati dal Governo cinese. A casa propria ognuno è libero di decidere secondo i propri dettami; poi, i dazi sul vino non sono altro che la ritorsione cinese per i dazi che l’Unione europea vorrebbe applicare sul fotovoltaico prodotto in quel Paese.

Di tutt’altro spessore le relazioni dei massimi esponenti di Assoenologi. Il neopresidente Riccardo Cotarella ha sottolineato i capisaldi del successo del vino italiano di questi anni: i vitigni autoctoni interpretati con efficacia, la tecnologia applicata con intelligenza e il binomio scienza e ricerca come atteggiamento produttivo indispensabile per il progresso. Poi, è toccato al direttore generale Giuseppe Martelli celebrare il cinquantesimo compleanno della legge sulle denominazioni. Una normativa che ha radici lontane, visto che da molte parti d’Italia già nella seconda metà del 1800 si chiedevano norme a tutela dei vini di origine e di qualità e che il primo progetto di legge presentato nel Parlamento italiano risale al 1921 con la firma del piemontese Arturo Marescalchi.

Venerdì 5 luglio, sono stati tre prestigiosi produttori italiani a tenere banco. Ha iniziato Angelo Maci, enologo pugliese e presidente di una grande cooperativa, la Cantina Due Palme, di Cellino San Marco, esempio di come la cooperazione possa unire aspetti sociali, imprenditoriali e tecnici per dare vita a una produzione di sicuro profilo qualitativo capace di conquistare i mercati del mondo intero. Una struttura importante e di avanguardia con 1.200 soci, 2.400 ettari vitati, 60 dipendenti con età media di circa 35 anni.

Poi, Angelo Gaja, interprete di eccellenza della viticoltura di Langa, è stato un fiume in piena e ha martellato una platea attenta con infiniti stimoli per guardare avanti con fiducia. Forte il suo richiamo all’Europa come «la nostra casa», con un monito specifico ai giovani, ai quali ha rivolto l’invito di viverla con convinzione perché «è il nostro alleato migliore». Un applauso fragoroso ha sottolineato la condivisione di tante delle affermazioni di Gaja, che meriterebbero una riflessione specifica.

Poi, è stata la volta di Piero Antinori, altro mostro sacro del vino italiano. Un toscano, il padre del Tignanello, che si è presentato con una relazione ricca di numeri e valori economici, macolma di prospettiva. Ha dipinto un’Italia con grandi potenzialità, visto che nei prossimi trent’anni almeno unmiliardo di “nuove” persone avranno i mezzi per acquistare beni voluttuari come il vino. Secondo Antinori, negli ultimi decenni, il vino italiano ha compiuto progressi enormi: ha conquistato gli Usa e superato la Francia, ma può fare di più, soprattutto su mercati come la Cina dove ci sono enormi margini di crescita e dove la Francia continua a surclassarci. E c’è un altro elemento da tenere in considerazione: dopo anni, il rapporto a livello mondiale tra produzione e consumo è quasi al punto di equilibrio e questo potrebbe essere un ottimo trampolino di lancio per far crescere il valore del nostro vino, a vantaggio di tutte le categorie della filiera.

C’è stata poi, sabato mattina, una seconda sessione tecnica, altrettanto interessante, sul cambiamento climatico, con esperienze provenienti dai nuovi mondi, dove il problema dell’aumento delle temperature è già stato affrontato. Ne parleremo in un prossimo intervento.

Vorremmo concludere con alcune parole del presidente Giorgio Napolitano, che ha salutato il Congresso con un messaggio molto apprezzato. Nei periodi difficili così come quando le cose vanno bene, «il vino è un emblema di quelle tradizioni di storia e cultura e di lavoro che fanno grande l’Italia, è l’emblema delle diversità e dell’unità di cui abbiamo bisogno. Qui sta la forza del nostro Paese». Come non essere d’accordo?

Giancarlo Montaldo

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