Intervista: i 40 anni di Gianluigi Biestro con i Vignaioli

L’enologo ha lasciato la direzione della più grande organizzazione italiana di produttori

ENOLOGIA Con la fine di maggio si è conclusa la lunga esperienza di Gianluigi Biestro alla Vignaioli piemontesi: oltre quarant’anni di lavoro, impegno e risultati che hanno accompagnato lo sviluppo dell’associazione e quello del vino piemontese. Le sue origini sono una sintesi tra l’alta Langa e Alba, con il papà nativo di Albaretto della Torre e la mamma albese. L’incontro con il vino avviene negli anni Settanta con l’iscrizione alla Scuola enologica e il diploma, nel 1976. Lo stesso anno frequenta un corso per dirigenti di cooperative agricole alla Scuola di amministrazione aziendale di Torino, che lo introduce nel mondo delle cantine cooperative dell’Unione regionale piemontese della cooperazione. Di lì alla Piemonte Asprovit il passo è breve. Vi approda il 1° agosto 1979 e non la lascerà più, accompagnandola lungo il cambio degli scenari generali e le modificazioni interne, prima fra tutte la fusione con la Viticoltori Piemonte avvenuta alla fine del 1996.

Intervista: i 40 anni di Gianluigi Biestro con i Vignaioli
Gianluigi Biestro entrò in Piemonte Asprovit il primo agosto del 1979.

Chiedere a Biestro com’è cambiato il vino piemontese in questi quarant’anni è come un invito a nozze. I suoi ricordi scorrono veloci: «Dal punto di vista tecnico, siamo passati dal binomio con la chimica a quello con le applicazioni della fisica e poi della microbiologia, favorendo il netto miglioramento della bevanda dal punto di vista qualitativo e salutistico. Sotto l’aspetto commerciale abbiamo attraversato periodi di sofferenza alternati a risultati importanti, con l’identità del vino piemontese che andava incrementandosi. Dal punto di vista dei servizi, abbiamo lottato sempre con i problemi della burocrazia, limitando i danni o compiendo dei salti di qualità. All’aspetto legislativo ho dedicato molto impegno e qui i passi compiuti sono stati determinanti. Mi piace ricordare tra tutti l’obiettivo della fascetta di Stato su tutti i vini a denominazione di origine».

Globalmente, quindi, il vino piemontese ha fatto progressi notevoli?

«Il cambio di passo avvenne nel 1986 con le vicende assurde del metanolo. Da quel momento, la qualità e l’identità sono cresciute in maniera esponenziale, fino a raggiungere l’immagine, il prestigio e il valore assoluto di oggi».

Sintetizzare un periodo così lungo non è facile. C’è un momento che ricordi con particolare soddisfazione?

«Sono due le occasioni di vera gratificazione. La prima è l’acquisizione definitiva dell’Enocoop, l’attuale Terre da vino, conseguita con la collaborazione di nove cantine cooperative piemontesi, vincendo la concorrenza di un colosso come Civ&Civ delle Riunite. Allora, il vino piemontese ha davvero fatto squadra e portato a termine un progetto ambizioso e di grande efficacia. La seconda è la fusione tra Piemonte Asprovit e Viticoltori Piemonte con la nascita di Vignaioli piemontesi. In questo caso abbiamo dimostrato di saper superare le differenze di orientamento politico e territoriali per creare una struttura di servizio a favore della regione vitivinicola».

Lunga è stata anche la tua presenza al Comitato nazionale vini a Roma: 15 amni tra il 1993 e il 2008 e poi dal 2015 al 2021. Qual è stato il risultato maggiore?

«Senza dubbio il varo delle denominazioni di territorio (Piemonte, Langhe e Monferrato), che hanno permesso di ratificare l’attitudine tipicamente piemontese di produrre più denominazioni sullo stesso vigneto e di legare lo sviluppo di questo settore solo alle Doc e Docg».

C’è un’altra vicenda alla quale sei legato?

«Senza dubbio il progetto commerciale sul vino sfuso: abbiamo coalizzato i produttori, soprattutto quelli associati, e creato una sorta di banca del vino sfuso, con la quale siamo entrati in collaborazione anche con i grandi imbottigliatori nazionali. Così abbiamo superato lo stillicidio delle piccole intermediazioni per creare nella Vignaioli piemontesi la figura di riferimento per un mercato nazionale, con la possibilità di muovere partite anche di migliaia di ettolitri di un solo vino».

Con il 31 maggio si è conclusa la lunga esperienza tecnica e strategica che ha portato la Vignaioli a diventare la più grande organizzazione di produttori italiana. Biestro resterà in Vignaioli come consulente di direzione, per accompagnare i primi passi del nuovo direttore: un altro langhetto, stavolta di Treiso, Davide Viglino.

Giancarlo Montaldo

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