Scopriamo perché l’orologio in piemontese viene detto “Mostȓa”

Bozza automatica 305

Mostȓa: Orologio da braccio o da taschino; quadrante dell’orologio stesso.

C’è un giochetto piemontese che suona come una filastrocca. Alla domanda che ora o r’elo? (che ora è?), ci sono infiniti modi per canzonare l’interlocutore. Gli si può dire: ȓ’oȓa ‘d ieȓ a st’oȓa! (l’ora di ieri a quest’ora), oppure se t’avȓìj n’arlòg tacà aȓ cu, ët savȓìj che oȓe ch’i ȓ’han batu (se avessi un orologio attaccato al sedere, sapresti che ore sono suonate), oppure ancora set e mesa: i-i càla Bernàrd e i-i monta Teresa! (le sette e mezza: scende Bernardo e sale Teresa), fino a terminare con il famoso o ȓ’è oȓa ch’ët càti na mostȓa! (è ora che ti compri un orologio!).

Mostȓa, infatti, è il termine attuale più comune per indicare l’orologio – da taschino o da braccio. Ma non è l’unico: vediamo insieme il perché, con alcuni modi di dire che sono passati alla storia. Un tempo, vecchi e grandi orologi da tasca, a volte assicurati con una catenella, erano chiamati per la loro forma ràva (rapa) o siola (cipolla). Addirittura c’è chi esibiva termini come galanta o pitocarda. Ci sono poi gli orologi-sveglia, conosciuti con il nome di dësviaȓìn

Sempre in ambito orologiero, arleuȓi o arlòge è l’orologio dei campanili, quando non è un termine dispregiativo per uno scadente orologio da polso. Se, chi lo indossa vuol fare credere agli altri con superbia di essere benestante e altolocato, mentre invece è un povero diavolo, non deve stupirsi quando verrà apostrofato come blagheuȓ con ȓa mostȓa ‘d bosch, letteralmente uno spocchioso con l’orologio di legno.

Tornando quindi alla mostȓa, che ci ricorda la montre francese, va precisato che il suo etimo è nel latino con il termine monstrare cioè indicare, designare. A questo proposito teniamo conto del verbo mostȓè piemontese, che appunto significa indicare, insegnare, mostrare. Chi alo mostȓàte a fé paȓèj? (chi ti ha insegnato a fare così?).

Succede anche di avere la sfortuna che l’orologio indossato non segni l’ora esatta, ma si sfasi in continuazione: quella è la famosa mostȓa ch’a marca ij mìja; succede anche di avere talmente sonno da dormire dodici ore: in quel caso si dice di avèj fàje fé ‘ȓ giȓ a ȓa mostȓa (aver fatto fare il giro all’orologio). E se qualcuno, per farci un trabocchetto, dice: Tira fora ra patanuva e spatàrme ȓa minuta! Non vuole altro che sapere l’ora. Semplicemente lo dice con una serie di metafore.

Paolo Tibaldi

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