Fenoglio, la Famija albèisa e il carnevale stile anni Cinquanta

VITA ALBESE A spasso nella sua città di Alba, diretti verso il suo centenario, ci imbattiamo in Beppe Fenoglio anche per deviazioni fuori programma, angoli meno canonici o segnalati. E immagini inattese: come quella di questa pagina, che dobbiamo alla cortesia della famiglia Degiacomi. È un ballo di carnevale, a metà degli anni Cinquanta; sono piovuti coriandoli sulle coppie, il pavimento della sala ne è pieno.

Si direbbe proprio la leggendaria, ospitale Tavernetta dell’hotel Savona. Il fotografo fa qualche slalom, e scatta per l’album dei ricordi; la serie delle fotografie ha il timbro della bottega (passata ormai anch’essa alla storia) Liuzzi. La coppia in primo piano: la signora Clotilde Degiacomi condotta dall’economo del Comune, Luigi Bertoncini. Un nome che ci fa piacere ritrovare, e “vedere”. Lo rileggiamo ogni volta che torniamo all’invenzione del Palio degli asini: nel 1932 il venticinquenne Bertoncini (nato nel 1907, morirà nel 1989) è al fianco di Pinot Gallizio; e fino al 1935, quando il suo albo d’oro si interrompe una prima volta (forse davvero il regime non gradiva l’implicito connotato satirico, e peggio: antieroico?) del Palio si corrono tre edizioni. Tutte e tre le vince il borgo dei postiglioni: di cui è presidente proprio Bertoncini. Che appena finita la guerra ritroviamo puntuale nel comitato organizzatore della rinata Fiera del tartufo, come già suo padre, il cavalier Giuseppe, era stato «tra gli organizzatori della “Fiera-mostra dei rinomati tartufi d’Alba”» nel 1929, quando Giacomo Morra iniziava la sua scommessa e la sua leggenda. Lo ricordava Vittorio Riolfo, ricapitolando, nel 1975, le memorie dei primi vent’anni della Famija albèisa: è ancora Bertoncini (Luigi) il primo tessitore «di contatti con amici con i quali aveva in comune il pallino di far qualcosa per Alba, al di sopra e al di fuori dell’attività delle pubbliche amministrazioni».

Fenoglio, la Famija albèisa e il carnevale stile anni Cinquanta
La Tavernetta del Savona ospita la Famija albèisa per l’uscita del libro La piazza del duomo di Alba, edito dalla San Paolo nel ’66

Non ci diffonderemo qui sui vari passaggi: annotiamo solo che le prime riunioni, la prima assemblea dei soci della Famija si tengono proprio nella Tavernetta del Savona (che viene dichiarato sede provisòria dell’ente); e che con Riolfo e Bertoncini, nell’elenco dei fondatori e primi amministratori, compaiono anche il padrone di casa Mario Morra, e Luciano Degiacomi, farmacista nonché cultore di tradizioni e gastronomia, che all’associazione offrirà per decenni intraprendenza e intuizioni precorritrici (Gazzetta lo ha ricordato, nel centenario della nascita, due settimane fa, ndr).

Forse è proprio l’istante di un carnevale ’n Famija (il primo cade il 16 febbraio 1957) quello che ci restituisce la fotografia: nomi e luogo paiono congiurare. Ma anche ci restituisce, per caso, alle spalle della signora Degiacomi e di Bertoncini, un Beppe Fenoglio intento anch’egli alla danza. Non è una sorpresa, Fenoglio al Savona, in una sala o nel dehors: tutti i suoi lettori conoscono il microcosmo di questo autore provinciale dalla vita ordinata e ordinaria, che indulge ad autoritrarsi come «appartato» e «dilettante». L’hanno anche già visto ballare: in una piccola fotografia, sgualcita dal tempo, presa a un ballo campestre. È che di fronte allo scrittore segreto, «distaccato» e indipendente viene naturale cascare nel gioco (cui tutti ci consegniamo) dello slittamento tra ordinario e straordinario: quella che vediamo danzare a carnevale non è la stessa persona che sta pensando e scrivendo (ci si metterà, magari di ritorno dalla serata) la grande cronaca dello studente partigiano Johnny? Quel Johnny che (magari quella sera stessa, tra una sigaretta e l’altra del suo autore) si appresta a ballare anche lui, sulla macchina per scrivere e sui dischi, a Castagnole, con la sfollata, annoiata, «serpentina» Elda? E il ballo, per l’altro studente partigiano Milton, non è forse quel fatto sociale, quella prova e performance amorosa che manifesterebbe alla luce del sole ciò che invece resta oscuramente privato, e che cyranescamente avviene per l’intermediazione di un altro, più disinvolto ed eletto, ballerino?

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Clotilde Degiacomi con Luigi Bertoncini e Beppe Fenoglio mentre danzano.

Intanto, però, fuori dalla pagina: «Ho rapidamente e soddisfacentemente imparato a ballare», annuncia Fenoglio ad Anna Maria Buoncompagni, nel febbraio del ’47. Ed è sempre notevole rileggere il ricordo della sorella Marisa, in Casa Fenoglio, adolescente sparring partner delle esercitazioni casalinghe del fratello maggiore, al suono della radio, secondando «una naturale sensibilità alla musica e al ritmo». Anche gli amici Cerrato han sempre tenuto a ricordare un Fenoglio “musicale”. Un ballerino dalle idee chiare, dalle posizioni, anche in questo caso, «distaccate»: amante degli slow, anche i pezzi più veloci (i cosiddetti ritmati) «aveva l’ambizione di ballarli lenti, perché, diceva, veloci li sanno ballare tutti».
Così, eccoci di nuovo arrivati alla Tavernetta del ristorante albergo Savona, «il meglio attrezzato», come da suo dépliant. Ma no, è un attimo e lì non siamo più: siamo sì a carnevale, ma forse nella Paga del sabato, nel «locale sotterraneo dei fratelli Norse»: un «dancing» improvvisamente lontano anni luce dal clima festoso e innocente della Tavernetta, su cui si allungano ambigue ombre noir, gangsteristiche, via letteratura e (parecchio) cinema…

Basta: usciamo dal gioco, rientriamo al Carlevé ‘n Famija. Ci sono Luigi Bertoncini, Luciano Degiacomi e sua moglie, Beppe Fenoglio, che con Degiacomi s’era ritrovato compagno in classe al ginnasio (aiutandosi qualche volta l’un l’altro: Luciano dando suggerimenti in matematica, Beppe un’occhiata ai temi). Torniamo stabilmente alla fotografia che qui abbiamo presentato. Che però stabile non rimane. Sembra contenere un particolare curioso. Un dettaglio imprevisto, un punctum, come avrebbe forse detto Roland Barthes (che se lo poteva permettere). Ci sono coriandoli ovunque, si nota: dalle teste ai pavimenti. Non uno, apparentemente, su Beppe Fenoglio. Sarà davvero lì, insieme agli altri? Starà trasformando un pezzo vivace in uno slow? Sarà a casa a scrivere? Dal gioco, insomma, dal culto di Fenoglio, non si riesce evidentemente a uscire.

Edoardo Borra

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