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Parlare nei Balcani del futuro della sicurezza dell’Unione europea

Il Parlamento europeo
Il Parlamento europeo

UNIONE EUROPEA Ci sono coincidenze che parlano, anche quando se ne discorre con discrezione.

È quanto avvenuto nei giorni scorsi a Lubiana, capitate della Slovenia, il Paese che esercita la presidenza semestrale dell’Unione Europea e dove si sono riuniti il 6 ottobre i capi di Stato e di governo dell’Ue. All’apparenza si trattava solo, come si dice in gergo brussellese, di un Consiglio informale, per il quale non erano previste decisioni ma soltanto scambi di valutazioni politiche, in particolare sul futuro allargamento dell’Ue verso l’area dei Balcani, quella che vent’anni fa fu teatro di tragici conflitti militari.

La coincidenza risiede nel fatto che, con il tema dei futuri allargamenti nei Balcani, sia finito sul tavolo quello del futuro della difesa e sicurezza comune e questo in un’area dell’Europa ancora segnata dai postumi di guerre recenti, conclusesi con l’accordo di Dayton promosso non dall’Ue, ma dagli Stati Uniti di Bill Clinton.

Ai partecipanti al Consiglio europeo non dovrebbero essere sfuggite queste coincidenze, in particolare nel contesto recente degli avvenimenti in Afghanistan e all’indomani del rafforzamento della presenza degli Stati Uniti e del Regno Unito nell’area indo-pacifica: avvenimenti che hanno ricordato all’Ue la debolezza del suo ruolo nella Nato e i suoi timori per l’indebolimento di un’alleanza transatlantica già messa a dura prova dalla presidenza Trump e non sostenuta ancora con la necessaria chiarezza dal presidente Biden.

Così il tema centrale dell’incontro di Lubiana è stato quello del futuro della politica di sicurezza comune, ruotato attorno alla prospettiva di una “autonomia strategica” dell’Ue in seno alla Nato e una conseguente assunzione di responsabilità dell’Europa per la propria sicurezza, riaffermata con forza da Angela Merkel quando richiamò l’Ue “a prendere in mano il proprio destino”.

Le conclusioni del Consiglio europeo affidate al suo presidente, Charles Michel, tradiscono più cautela che non coraggio e meritano una citazione: «Sulla base degli insegnamenti appresi nelle recenti crisi, siamo impegnati a consolidare i nostri punti di forza e a potenziare la nostra resilienza, riducendo le dipendenze critiche. Per diventare più efficace e assertiva sulla scena internazionale, l’Unione Europea deve aumentare la sua capacità di agire autonomamente: come potenza economica, attraverso il mercato unico, le norme (in materia di clima, energia, politica industriale), la parità di condizioni, la reciprocità nel settore della sicurezza e della difesa Ue».

Si tratta di conclusioni dal sapore antico, quelle di un Comunità costruita negli anni ‘50 facendo perno sulla dimensione economica, in attesa che da questa potesse gemmare un’Europa politica, la sola che oggi ci permetterebbe di avere dignità e ruolo nella Nato e rapporti non subordinati ai soli interessi Usa, qualunque sia il colore dell’amministrazione che la dirige.

Anche in questo caso “sovranità europea” fa rima con “unità” tra i Paesi Ue, i quali anche su questo versante sensibile per il futuro della pace in Europa hanno posizioni divergenti. Più decisi ad andare avanti verso una difesa comune Francia, Italia e Spagna con la Germania ancora riluttante ad assumersi maggiori responsabilità sul tema per essa particolarmente sensibile della difesa e di un esercito europeo; dall’altra i Paesi timorosi di essere alle prese con il risveglio dell’orso russo – come i baltici e la Polonia – e di perdere la protezione dell’ombrello americano e della Nato, visti i tempi lunghi della costruzione di una difesa comune europea.

Conclusioni si spera più “assertive” sono attese dal prossimo Consiglio europeo in primavera, interamente dedicato al tema della difesa, durante il semestre di presidenza francese, quando si dovrà mettere mano alla formulazione di una dichiarazione comune Ue-Nato.

Sempre che nel frattempo altre crisi – direbbe Charles Michel – non tornino ad apprenderci ancora una volta l’urgenza di ridurre le nostre “dipendenze critiche”.

Franco Chittolina

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