Produrre costa di più: le aziende nella morsa di metano ed energia (INCHIESTA)

Produrre costa di più: le aziende nella morsa di metano ed energia (INCHIESTA)

RINCARI Il cheraschese Marco Costamagna, già presidente della sezione meccanica di Confindustria Cuneo tra il 2017 e il 2019, amministra tre aziende – Biemmedue produttrice di macchine per la pulizia e Mtm hydro di impianti d’autolavaggio, a Cherasco; Ars elettromeccanica, costruttrice di pompe a solenoide, a La Morra – un gruppo che conta quasi cinquecento dipendenti. La sua come molte altre aziende della Granda nonostante la solidità si trova a fronteggiare i rincari dovuti al reperimento delle materie prime. «Il nostro gruppo è grande: abbiamo la “fortuna” di aver bisogno di molti materiali. Con Biemmedue e Mtm utilizziamo soprattutto acciaio, ottone e alluminio, con Ars invece il rame e le sue leghe».

Dopo incrementi spropositati, «il problema si sta ridimensionando: assistiamo a un calo della domanda. Anche i fornitori stanno rientrando dei costi perché hanno maggiore produzione disponibile». Decisamente più preoccupante è invece l’allarme energetico che si sta abbattendo su tutte le industrie: quelle guidate da Costamagna non fanno eccezione, con costi quadruplicati.

Qualche soluzione per abbattere le spese però sembra profilarsi, almeno per l’elettricità: «Sui tetti delle tre aziende abbiamo, o avremo a breve, un impianto fotovoltaico: già lo scorso anno, intuito l’andamento, siamo corsi ai ripari. La Mtm ne ha uno da quando è entrata nel nuovo stabilimento, cioè nel 2011, mentre alla Biemmedue, ad agosto, è entrato in funzione un impianto da 500 kilowatt che dovrebbe garantirci, all’incirca, la copertura del 40 per cento del fabbisogno annuale. A La Morra, infine, entrerà in funzione a settembre una struttura da 420 kilowatt: avendo però una produzione continua, organizzata su tre turni, l’impianto soddisferà fra il 25 e il 30 per cento delle necessità».

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Marco Costamagna © G. Galleano

Per quanto riguarda il gas gli ostacoli sono meno aggirabili: se in due stabilimenti serve soltanto per il riscaldamento (quindi si tratta di accenderlo di meno e di efficientare i consumi con nuove caldaie a Gpl), «alla Biemmedue fa parte del processo produttivo perché abbiamo un forno di verniciatura», dunque i ricarichi sono importanti e non potranno che ribaltarsi sul futuro mercato.

Si prospetta quindi un inverno complicato, i cui primi segnali sono già avvertibili: «Sulle macchine da pulizia, per esempio, stiamo riscontrando un calo degli ordinativi, mentre nei reparti dove facciamo gli accessori per aggiustare i prodotti crescono: vuol dire che la gente è più propensa a riparare, meno a sostituire». Si percepisce un clima negativo: «Riscontriamo una grossa differenza rispetto ai mesi passati: mentre durante la pandemia c’era un forte impulso a riaprire, ora è l’opposto e gli investimenti rallentano». 

Lorenzo Germano

Cirio (Confindustria): «Per cartiere e fonderie aumenti insostenibili sui materiali impiegati»

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Giuliana Cirio © Marcato

Segnali contrastanti: è l’espressione usata da Giuliana Cirio, presidente di Confindustria Cuneo, per definire la situazione delle aziende nella Granda. Da un lato ci sono «realtà con grandi portafogli di ordinazioni. Il tasso di utilizzo degli impianti ha toccato livelli da record così come la richiesta di addetti: la disoccupazione di fatto non esiste», spiega. Dall’altro ci sono aziende «come cartiere e fonderie per le quali i costi delle materie prime, rientrati invece in condizioni di normalità in altri comparti, rendono insostenibile aprire i cancelli».

Le prime crepe iniziano a emergere nel sistema, «ci sono giunte alcune richieste di cassa integrazione, stimiamo siano destinate ad aumentare nei prossimi mesi. Gli imprenditori sono preoccupati per le loro maestranze», prosegue. L’unica via per scongiurare scenari negativi è bloccare la corsa al rialzo di gas ed energia e le risposte possono venire solo dal Governo e dall’Europa. Dal primo gli industriali si attendono «misure d’aiuto: l’ultimo decreto approvato (che stanzia 17 miliardi per imprese e famiglie) era buono nelle intenzioni ma i fondi erano insufficienti. Servirebbero somme 4 volte maggiori». Il nodo tuttavia, «è l’imposizione di un tetto europeo al prezzo del gas», conclude Cirio.  

Davide Gallesio

Utenze elettriche quintuplicate e incrementi delle quotazioni per burro e zucchero

Un balzo da 580 a 2.613 euro di costi per l’elettricità: il dato lo recita, impietosa, la bolletta del mese di luglio, recapitata, nei giorni scorsi, a Davide Almondo, 59 anni, pasticcere con un laboratorio a Montà. «Le spese sono quintuplicate nonostante io abbia acceso i forni soltanto per tre giorni la settimana: d’estate c’è meno lavoro. Di questo passo, fra ottobre e dicembre, il periodo nel quale totalizziamo l’80 per cento del fatturato, arriverò a 7mila euro di bollette e io sono già fortunato perché non affitto i locali per la mia attività. Siamo tutti nella stessa situazione: chi usa meno energia fa i conti con il gas».

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Davide Almondo, pasticcere di Montà

L’artigiano gestisce il punto vendita assieme alla moglie: «Ho ricevuto un ordine di 400 panettoni, sarebbe un bel colpo per me: di solito ne vendo 600 in tutta la stagione ma mi sono preso un po’ di tempo per valutare il costo di vendita». Le bollette non sono l’unica fonte di preoccupazione: anche i prodotti per la pasticceria hanno avuto rincari, il burro (si utilizza per lo più quello tedesco) ingrediente principe delle preparazioni, «a settembre 2021 si pagava 4 euro e 90 centesimi il chilo, tre mesi dopo aveva raggiunto i 10 euro il chilo per calare dopo il periodo festivo. Oggi lo si trova a otto euro e mezzo». Anche lo zucchero ha avuto aumenti del 20 per cento mentre per le uova le previsioni non sono ottimistiche, «le produzioni in Europa si sono ridotte per i costi elevati dei mangimi». Gli aumenti sulle materie prime, però, si distribuiscono in modo diverso sul prodotto finito, «mentre un chilo di burro aggiunge 820 grammi di peso al preparato finale e lo zucchero interessa il 10 per cento del prodotto, l’elettricità per la cottura si abbatte sulla totalità di quanto vendiamo».

Alzare i prezzi non sempre è possibile, «da 22 euro il chilo, per compensare i costi, dovrei innalzare a 26 o 30 euro ma, oltre a essere un passo contrario alle mie intenzioni non sono Iginio Massari che ha una clientela anche se vende i prodotti a 55 euro il chilo», conclude Almondo.  

d.g.

La fluttuazione dei prezzi di lamierati e laminati d’acciaio compromette l’operatività del comparto metalmeccanico

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Daniele Casetta

A Montà l’imprenditore Daniele Casetta referente d’area degli imprenditori albesi affiliati a Confartigianato si occupa, nel suo impianto, di carpenteria metallica. Sulla sua attività incombono, come su altre centinaia nella Granda, i rincari innescati dal rialzo dei prezzi dell’energia elettrica. «L’incertezza di questo momento storico è l’aspetto più complesso col quale convivere, perché non si riescono a pianificare gli investimenti futuri», spiega. Nello stabilimento si eseguono lavorazioni di precisione come il taglio al plasma e la saldatura, «alternate a operazioni a basso consumo. Il costo dell’elettricità è quasi raddoppiato, per la nostra realtà, ma influisce non oltre il 10 per cento sul prezzo del prodotto finito: mi preoccupano molto di più le quotazioni delle materie prime che pesano fino al 70 per cento nella determinazione del prezzo finale». Nel suo caso lamierati e laminati d’acciaio, sui quali si riversano, indirettamente, i maggiori costi sostenuti dalle fonderie, «alcune di loro, per razionalizzare i consumi hanno cessato tutta la produzione di determinate tipologie di semilavorati».

Nel 2020 i lamierati costavano 63 centesimi al chilo, l’inizio della guerra in Ucraina, a febbraio 2022, ha portato le quotazioni, entro maggio, «a un euro e 80 centesimi. Durante l’estate sono tornate a 1 euro e 15 centesimi ora sono in crescita verso un euro e 30 il chilo». Dinamica analoga ha interessato i laminati (cioè le putrelle d’acciaio usate per le costruzioni): «Se nel 2020 il costo era prossimo a un euro il chilo, abbiamo toccato punte di un euro e 80 centesimi per tornare, ora, a un euro e 60 centesimi».

L’instabilità complica la stesura dei preventivi: «Con prezzi altalenanti è difficile proporre ai clienti indicazioni valide. Alzando troppo il prezzo si rischia di non essere competitivi, riducendolo si lavora in perdita». Se prevedere gli andamenti del mercato è impossibile, il momento non è totalmente negativo, «nonostante gli aumenti le commesse non ci mancano e i rincari sono sotto controllo. Il clima di allarmismo, diffuso dai nostri politici, sugli avvenimenti dei prossimi mesi, però, non crea altro che negatività». Fra le aziende dello stesso settore, infine, è difficile tracciare un bilancio univoco: le situazioni sono molto dissimili, anche nell’Albese, «dipende  dal tipo di lavorazioni  e dall’uso dei macchinari. Ho ricevuto la chiamata di un altro metalmeccanico la cui bolletta è passata da tremila a 11mila euro in un mese», precisa Casetta  

d.g.

Rolfo: investimenti fermi, i soldi vanno alle bollette

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Roberto Rolfo

Accantonare fondi per fare fronte agli extracosti di elettricità e gas: è la priorità delle ultime settimane per Roberto Rolfo, imprenditore alla guida dell’omonimo gruppo che, a Bra, produce bisarche per trasporto di auto. «Non riusciamo a capire cosa fare: questa incertezza blocca gli investimenti che avevamo programmato. I soldi ora servono per le bollette». In corso IV Novembre, dove ha sede l’azienda ci si prepara a «costi quadruplicati. Fino a due anni fa metano ed energia comportavano uscite per 600mila euro: quest’anno ci attendiamo spese fino a un milione e 300mila».

Per far fronte all’emergenza la direzione sta discutendo con gli operai di eventuali interruzioni dell’attività, «nei giorni più freddi, quest’inverno, per ridurre le spese di riscaldamento». Un paradosso, «ora siamo pieni di lavoro, superata la penuria di microchip che ha rallentato la produzione di auto e camion», prosegue Rolfo; il gruppo braidese ha dovuto fare i conti anche con le conseguenze della guerra in Ucraina: «Lavoravamo molto per la Russia, il conflitto ha bloccato 15 milioni di fatturato. Per compensare ci stiamo orientando verso altri mercati: Kazakistan e Uzbekistan».

L’unica via d’uscita, secondo Rolfo, è l’autoproduzione di energia elettrica, posizionando sui tetti degli stabilimenti pannelli fotovoltaici: il nodo rimangono gli investimenti iniziali: «Bisognerebbe estendere alle imprese la possibilità di aderire alle comunità energetiche (cioè gruppi di privati che producono e condividono elettricità da fonti pulite), con l’accesso a incentivi statali». Il presente, invece, è segnato dall’incertezza, anche per quanto riguarda le materie prime: «Le quotazioni altalenanti complicano la stesura dei preventivi. Non sempre quelli indicizzati, cioè adeguati alla volatilità dei prezzi, vengono accettati dai clienti e soprattutto non risolvono il problema per contratti già in essere sui quali non si possono proporre molti adeguamenti».  

d.g.

Crisi energetica: carente la cultura del fotovoltaico

 

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L’imprenditore albese Massimo Marengo installatore di pannelli solari

Il caro energia ha colto impreparata una larga parte della popolazione: è questa l’opinione di Massimo Marengo, titolare del gruppo Albasolar, azienda specializzata nella costruzione e installazione di impianti fotovoltaici. «Le difficoltà attuali sono dovute a una scarsa cultura energetica. Non lo dico perché sono interessato a vendere: vorrei si puntasse sull’educazione in questo campo. Anche la politica dovrebbe farlo».

La famosa bolletta triplicata, postata su Internet, secondo Marengo, «è l’emblema di chi non conosce le soluzioni esistenti. Per esempio, se hai un bar e sei mesi fa spendevi 500 euro e ora 1.500, allora puoi piazzare sul tetto un impianto fotovoltaico di 5 kilowatt e abbatterla. Magari investi diecimila euro, ma in un anno l’hai ripagato». Chi affitta, invece, «può mettersi d’accordo con il proprietario. I problemi non esistono neanche nei condomini: la legge stabilisce che ogni condomino possa usufruire di una porzione di tetto, proporzionale ai millesimi di proprietà. Se non arrechi danni, non devi neanche comunicarlo all’assemblea».

Soltanto il dieci per cento di famiglie e imprese ha un impianto fotovoltaico, «tanti aspettano i bonus ma a cosa servono se riesci ad arrivare a produrti buona parte dell’elettricità? Nel periodo dal 2010 al 2012 ne sono stati erogati troppi e ciò ha creato una cattiva immagine del fotovoltaico, considerato da molti come un fenomeno speculativo. Anche le aziende si stanno attivando soltanto ora». Secondo un’opinione diffusa la corrente non era cara, «non si pensava che la situazione potesse cambiare. In ogni caso, anche se costasse poco si potrebbe comunque eliminare quella voce di spesa». Con un impianto da 100 kilowatt su un capannone si riduce il consumo del 70 per cento; «nelle case si arriva anche al 90, grazie alle batterie che consentono di accumulare l’energia prodotta, di giorno, per la notte».

L’autoconsumo è l’obiettivo da ricercare: «Logicamente, se uno sta fuori durante il dì e attacca tutto la sera, il risparmio è minore. Per questo abbiamo brevettato un’applicazione che, oltre a indicare i consumi giorno per giorno, consente di programmare le accensioni di elettrodomestici, condizionatore e altro durante le ore di sole». Rispetto ad altri materiali, infine, i pannelli «non hanno subito significativi rincari e la manutenzione è davvero minima, per una durata che può arrivare a diversi decenni».

 Davide Barile

Brezzo, Tecnoworks: «Difficile ribaltare le spese sul cliente finale. Ora bisogna attingere da quanto accantonato negli anni passati»

C’è apprensione per l’inverno alle porte anche alla Tecnoworks, azienda albese di viale Artigianato che dal 2002 si occupa di riparazioni su attrezzature agricole e realizza componentistica con macchine a controllo numerico, assemblando rotori. Il titolare Gabriele Brezzo spiega che, per quanto riguarda l’energia elettrica, «confrontando il luglio 2021 con quello appena trascorso, le spese sono passate da 850 a 3.500 euro». La somma, quadruplicata, non tiene conto che, nello stesso mese del 2021, «facevo più lavoro internamente rispetto a oggi».

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Gabriele Brezzo (Tecnoworks)

Con l’abbassarsi delle temperature, si pone però un’ulteriore questione per la ditta, dove lavorano 11 persone: «Andremo ad abbinare al consumo elettrico dei macchinari l’impianto di riscaldamento a gas: fornirò abbigliamento tecnico ai dipendenti e il necessario per far fronte all’attivazione del riscaldamento per un numero inferiore di ore». Nemmeno l’aggregazione con altre imprese, per contrattare le bollette, pare utile: «Con Confartigianato abbiamo un consorzio che permette di concordare un prezzo di costo, quando il contratto scade, ma quest’anno non sarà così. Stiamo ancora pagando fatture che, rispetto alle microaziende, sono a prezzi convenienti, ma pur sempre quattro o cinque volte più alti rispetto allo scorso anno».

Per le realtà più piccole la situazione è complessa: «Ci sono alcuni nostri fornitori, leader nel settore italiano, che alla somma in fattura applicano un contributo del 10 per cento per la spesa elettrica: se io lo facessi perderei i miei compratori. Diventa difficile ribaltare le spese sul cliente finale, quindi tocca attingere da quanto si è accantonato negli anni: l’inverno dura solo qualche mese, ma c’è paura».

Il sentimento d’incertezza si sta instillando sempre di più, rallentando investimenti e creando demotivazione nei lavoratori. Brezzo spiega che la spesa aumentata, anche del prezzo delle materie prime, «alla fine si ripercuote sull’operaio intenzionato a cambiare la macchina agricola, magari una trincia, inducendolo a tenersi quella vecchia». Si innesca un meccanismo di diminuzione del lavoro, «gli aumenti non sono proporzionati. La busta paga dei miei dipendenti non è cresciuta del 30 o del 40 per cento come il valore del ferro: da quando l’ho comprato a 85 centesimi, è arrivato a 2 euro e 20». 

l.g.

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