Cittadella della carità: uno spazio d’ascolto per le persone fragili

Cittadella della carità: uno spazio d’ascolto per le persone fragili
© Marcato

ASSISTENZA La povertà ad Alba non ha un solo volto, ma tanti: uno è quello degli uomini soli, italiani e stranieri, anziani e giovani, che, nel tardo pomeriggio, si presentano di fronte all’ingresso della mensa della Caritas. Un altro è quello delle mamme e dei bambini riforniti periodicamente di abiti in via Pola, in uno spazio allestito dalle volontarie dove tutto è gratuito. Povero è anche chi viveva per strada, fino a poco tempo fa, in un giardino in pieno centro, prima dell’assegnazione di un alloggio, tramite i Servizi sociali. Ci sono, infine, i lavoratori passati dalle vigne alle aziende di altri settori, senza riuscire a ottenere una casa in affitto. Tra un hotel a quattro stelle, il quartier generale di una multinazionale, i binari della ferrovia sospesa e il centro città, la Cittadella della carità è l’unico luogo in cui tutte queste realtà si incontrano e i bisogni del territorio emergono senza filtri, in tutte le loro sfaccettature.

5 MILIONI DI POVERI

Abbiamo passato un pomeriggio e una serata in via Pola, per entrare in contatto con la quotidianità degli operatori, dei volontari e delle persone seguite. Trascorsa la pausa estiva, da una settimana, mensa e dormitorio lavorano a pieno regime, per accogliere chiunque chieda aiuto.

Il fenomeno della miseria cambia assieme al contesto sociale e ai bisogni delle persone. A fotografare la situazione, a livello nazionale, è il ventunesimo rapporto su povertà ed esclusione sociale compilato da Caritas e pubblicato in occasione della Giornata internazionale per la lotta alla povertà, celebrata ogni anno il 17 ottobre.

L’anello debole è il titolo del dossier redatto con i dati del 2021, elaborati in base all’attività dei 2.800 centri di ascolto, attivati dall’ente caritativo sul territorio nazionale. Anche ad Alba è in programma, il 28 ottobre, un incontro sul tema, organizzato dalla Caritas locale.

Tornando ai dati nazionali, si parte con un indicatore fondamentale: in Italia, sono 5 milioni e 571mila le persone in povertà assoluta, pari al 9,4 per cento della popolazione residente. Vi rientrano anche 1,4 milioni di bambini e ragazzi, privi dei mezzi necessari per vivere, dal momento che sono le famiglie numerose quelle più a rischio. L’incidenza risulta più elevata nel Mezzogiorno, più contenuta proprio al Nord-ovest, dove riguarda circa il 6,7 per cento dei residenti.

Secondo il rapporto, i soli centri di ascolto hanno accolto, nel corso del 2021, quasi 228mila beneficiari, ovvero il 7,7 per cento in più rispetto all’anno precedente. Non si tratta sempre di nuovi poveri, ma anche di persone che entrano ed escono dallo stato di bisogno: nel Nord gli stranieri sembrano essere la maggioranza e rappresentano il 65,7 per cento degli assistiti, ma anche gli italiani si trovano in condizioni di bisogno. Se si guarda all’età media, infine, si scopre che si attesta attorno ai 49 anni, indicatore di una situazione di fragilità trasversale e intergenerazionale.

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La cuoca Giusi

UN NEGOZIO PER TUTTI

Torniamo a via Pola: nell’edificio dove si trovano la lavanderia del dormitorio e le docce pubbliche, ci sono stanze con pareti decorate e il profumo di pulito nell’aria. Appena entrati ci si trova davanti a un bancone con giochi e oggetti per bambini: un seggiolino morbido, molti peluche, alcuni quaderni e pastelli. Poi si notano i capi di abbigliamento, ordinati alla perfezione.

C’è una parete allestita come una vetrina, con camice a quadri e maglioncini per bambine e bambini. Sono Fernanda ed Elena le artefici di questo spazio della Caritas in cui tutto è gratuito: entrambe pensionate, sono volontarie da oltre dieci anni. Comincia Fernanda: «Per noi, la dignità della persona è al primo posto. Abbiamo voluto creare un luogo che ricordasse quanto più possibile un negozio, nel quale ciascuno possa sentirsi a proprio agio». Ci sono persone che arrivano per i vestiti e poi «si fermano qualche minuto in più per parlare: oltre al disagio e alla povertà, spesso ci troviamo di fronte a situazioni di estrema solitudine».

Durante la settimana lo spazio è aperto dalle 15 alle 18: dopo il Covid-19, si prediligono gli appuntamenti, così da non creare sovraffollamento. Tutto ciò che è esposto proviene da donazioni: «Oltre alle persone che scelgono di portarci abiti usati o altro materiale, ci sostengono alcuni negozi della zona, ma anche realtà scolastiche e parrocchie, organizzando iniziative benefiche». Gli abiti usati vengono selezionati, «perché la dignità è fondamentale anche da questo punto di vista. Di fronte a sacchetti con indumenti logori, ci chiediamo se faremmo indossare queste maglie ai nostri figli o nipoti».

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Elena e Fernanda nel negozio

60 FAMIGLIE ASSISTITE

In questo momento, sono una sessantina i nuclei familiari riforniti dal “negozio”: alcuni sono composti da quattro o cinque persone, anche con bambini piccoli. Prosegue Elena: «Ci troviamo di fronte a situazioni molto diverse. Arrivano da noi persone residenti ad Alba, ma anche nelle Langhe e nel Roero; con molti si crea un rapporto continuativo. Così, quando arriva qualche capo che pensiamo possa essere adatto per una persona specifica, lo teniamo da parte». Lo stesso accade per i bambini, «a volte prepariamo anche corredi per neonati, quando le mamme ci comunicano se i figli saranno maschi o femmine. Per questo, abbiamo bisogno di indumenti per tutte le età».

Gli adulti, invece, sono spesso lavoratori di passaggio, ma non solo: «I jeans sono il capo che va per la maggiore e scarseggiano sempre le taglie ordinarie, visto che i ragazzi sono quasi tutti magri. Non è neppure facile trovare le scarpe». In questo periodo, con il freddo alle porte, all’appello mancano soprattutto giubbotti, coperte e piumoni, come precisa Fernanda: «C’è anche chi vive in strada o dorme in macchina, anche se è una realtà che si tende a non voler vedere in questa città». E prosegue: «Gli stranieri rappresentano la fetta maggiore dei nostri beneficiari, mentre gli italiani fanno più fatica a venire in via Pola. A volte li intercettiamo diversamente, tramite i servizi sociali o altre segnalazioni. Senza dubbio la rete di solidarietà si crea in modo spontaneo, tra persone che frequentano questo luogo».

Fernanda ed Elena ci mostrano anche alcuni ripiani con piatti, bicchieri, tazze e piccoli soprammobili: «Sono oggetti in buono stato, ce li portano quanti traslocano o svuotano un’abitazione», precisa Elena, «abbiamo deciso di includerli perché molte persone in difficoltà vivono in case semivuote. Talora anche un piccolo oggetto, altrimenti abbandonato in qualche angolo o in discarica, può fare la differenza».

UNA PORTA APERTA

Il Centro di prima accoglienza della Caritas sorge in un’altra zona della Cittadella della carità: qui si trovano il dormitorio e la mensa. In questo momento i trenta letti disponibili sono occupati, in gran parte da lavoratori delle vigne rimasti ad Alba perché assunti da aziende di altri settori o perché nel frattempo hanno ripreso a lavorare in campagna.

Ci sono anche situazioni diverse: quelle di persone fragili, malati o ex detenuti che hanno scontato la pena e si ritrovano, fuori dal carcere, senza una rete di supporto. Le porte della mensa si aprono verso le 18.30, quando la cena è pronta e i tavoli sono apparecchiati. Giusi, da oltre dieci anni, è la cuoca: «Sono arrivata qui quasi per caso, dopo aver lavorato come aiuto cuoca in diversi ristoranti. Senza dubbio questa è una realtà diversa e più complicata, ma credo che tutte le persone dovrebbero viverla per qualche giorno, per vedere l’esistenza da un altro punto di vista».

La donna cucina sempre un primo, un secondo e la pasta: tutto fresco, con le materie prime fornite dall’Emporio della solidarietà, che le riceve, a sua volta, dai negozi. La mensa è supportata anche da progetti sociali locali attivi, per esempio, nella fornitura di ortaggi. In media, si distribuiscono dai 30 ai 50 pasti a sera, ma in alcuni periodi si arriva anche a 100, come durante la vendemmia.

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Il mediatore culturale Sabeur

Sabeur è il mediatore culturale della struttura, uno dei punti di riferimento di via Pola: «Lo scorso anno, abbiamo distribuito più di 20mila pasti. Alcuni degli assistiti si presentano quasi ogni giorno, altri sono di passaggio: il mio metro di giudizio, per valutare l’andamento della povertà in città, si basa sulla quota di italiani che raggiungono la mensa. Senegal e Gambia sono ancora le nazionalità maggioritarie, ma anche gli albesi stanno aumentando. C’è persino chi arriva qui con la bolletta in mano, disperato per il caro energia».

Mentre parla, Sabeur riempie i vassoi dei primi ospiti. Si notano molti giovani di origine africana: alcuni dormono nel Centro di accoglienza, altri arrivano dall’esterno, ma ci sono anche persone di altre nazionalità e italiani. Non si parla molto in mensa: ognuno arriva, saluta, si mette in fila, riempie il vassoio e si sceglie un tavolo. C’è chi è titubante e si guarda intorno, ma poi si avvicina.

A differenza di quanto si possa pensare, il refettorio è un luogo accogliente ed è facile sentirsi a casa. C’è anche chi si fa riempire un piccolo contenitore di plastica, visto che lo attendono i turni in azienda. «Qui non facciamo domande: si entra e si mangia», racconta don Gigi Alessandria, direttore del Centro di prima accoglienza.

LA CASA È UN MIRAGGIO

A proposito della situazione povertà in città il sacerdote prosegue: «La nostra è una dimensione particolare: il lavoro c’è, ma si fanno spesso contratti brevi, che non sono una garanzia per chi cerca una casa in affitto. Se si aggiunge poi una certa chiusura, per un lavoratore africano da solo è quasi impossibile trovare una sistemazione». Manca una politica abitativa basata su iniziative concrete, «ma questa è solo una parte delle situazioni che incontriamo: si va dal disagio sociale alla malattia. Per questo motivo, la nostra struttura è elastica e non rivolta a una fascia specifica di bisogno».

MANCANO VOLONTARI

Il centro è una sorta di porto in cui tutti possono approdare, se sono in difficoltà. Certo, proprio perché le situazioni sono così diverse, il lavoro è tanto, e scarseggiano i volontari, soprattutto dopo il Covid-19, che ha allontanato parecchie persone.

A parte l’aiuto fornito da parrocchie a associazioni di volontariato, del servizio cena si occupano meno di dieci albesi. Mariella è una di loro, arrivata un anno fa, convinta dal figlio, che fa parte degli Scout e, per questo, frequenta il mondo del volontariato. Conosciamo anche Sonia, che ha trent’anni ed è arrivata alla Caritas perché voleva rendersi utile.

Si sono presentate puntuali per la cena: quando tutti avranno finito, sparecchieranno i tavoli e metteranno in ordine. Conclude don Gigi: «Sono qui dal 1993 e ho visto molti cambiamenti nel fenomeno povertà. Questo posto, però, è rimasto fedele a sé stesso: la nostra porta rimane e rimarrà sempre aperta per chi ha bisogno».

 Francesca Pinaffo

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