Mes una storia vecchia nella nuova stagione dell’Unione europea

POLITICA INTERNAZIONALE Tornare a parlare del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, può avere senso solo richiamando il nuovo contesto in cui il tema, trito e ritrito, riappare nell’Unione europea e il Italia.

Nell’Ue il Mes ha una storia che viene da lontano quando, conosciuto come Fondo salva-Stati, nasce nella drammatica stagione della crisi del 2010-2011 con Paesi Ue sull’orlo del tracollo finanziario.

Il Trattatto di Lisbona, da poco entrato in vigore, vietava con l’articolo 123 di salvare i Paesi in difficoltà e per venire in soccorso di Irlanda, Portogallo e Grecia nasce il Mes, un’organizzazione intergovernativa a lato del trattato Ue, sottoscritta dai Paesi dell’Eurozona con l’obiettivo di concedere prestiti, ma a fronte di severe condizioni con riferimento a tagli di bilancio nazionale e a misure di rigore. Una successiva riforma ne renderà possibile l’intervento a fronte di crisi bancarie.

Da quegli anni molta acqua è passata sotto i ponti e se il ricordo rimane quello di uno strumento del rigore finanziario con alti costi sociali, come sperimentato in Grecia, il nuovo contesto nel quale sarebbe eventualmente chiamato a intervenire ha oggi caratteristiche molto diverse in un’Unione che ha dimostrato con il Next generation Eu una politica di solidarietà di cui non c’era traccia all’inizio del decennio scorso.

Dei venti Paesi dell’eurozona che hanno aderito al Mes tutti lo hanno ratificato, a eccezione di uno, l’Italia, nonostante che la ratifica non significhi ricorso allo strumento, decisione che resta nella competenza della “gelosa” sovranità nazionale, tanto cara all’attuale governo. Con un problema: che senza questa ratifica, grazie all’Italia, gli altri diciannove Paesi che lo hanno ratificato non potranno accedervi in caso di crisi.

È questo il nodo politico da sciogliere: piegarsi alla regola della solidarietà europea o isolarsi in una forma di insostenibile autarchia, tanto più rischiosa con il debito pubblico italiano che ci ritroviamo, in una fase di transizione che vede l’Italia in difficoltà nella realizzazione di uno strumento di straordinaria solidarietà europea, come nel caso del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), e sotto pressione nel negoziato per un nuovo patto di stabilità e crescita, dal quale dipenderà il futuro governo delle finanze pubbliche nazionali.

L’intreccio di questi tre nodi da sciogliere in tempi brevi sembra suggerire a qualcuno nel governo di giocarne l’uno contro l’altro, tentando in particolare uno spericolato scambio tra la ratifica del Mes da parte del Parlamento e l’alleggerimento delle future regole comunitarie di bilancio del Patto di stabilità e crescita, riducendo le dimensioni del rientro dal debito pubblico e ottenendo maggiori flessibilità a favore di investimenti da non computare in quest’ultimo.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo
Franco Chittolina, sociologo, ha lavorato per 25 anni nelle istituzioni europee

Non è sicuro che questo scambio intenerisca i nostri partner, preoccupati a più titoli dell’evoluzione della politica italiana e già largamente irritati per i ritardi che ne derivano per il processo di integrazione europea.

Non è eccessivo sospettare che sia proprio quest’ultima la posta in gioco dell’intera complessa partita con i suoi tre nodi intrecciati, con l’Italia a parole “europeista” come da tradizione, ma tentata da una deriva “sovranista” nei fatti che non annuncia niente di buono per l’Unione Europea di domani, ma che già sta isolando l’Italia di oggi.

Tutto questo proprio in una fase della storia in cui l’Unione stava ritrovando coesione in risposta all’aggressione russa e in cui sarebbe di salvaguardia per il nostro Paese trovarsi in buona compagnia, perché da soli in questa Europa non si va da nessuna parte.

Franco Chittolina

Banner Gazzetta d'Alba