Abitare il piemontese: la parola di questa settimana è Tȓavonde (deglutire, ingoiare, inghiottire, trangugiare)

Beppe Fenoglio 22, ultimo capitolo “Una questione privata”, gli appuntamenti dal 20 al 26 febbraio
Paolo Tibaldi

ABITARE IL PIEMONTESE Per crescere ci vuole coraggio. Imparare a camminare significa perdere per un attimo l’equilibrio e lasciarsi andare; idratare l’occhio per vederci meglio vuol dire fare i conti con attimi di buio; per nutrirsi è necessario evitare di respirare per la frazione di secondo della deglutizione. Ecco che allora parliamo del verbo tȓavonde (pronuncia: tȓavunde), ovvero deglutire, ingoiare, inghiottire o, ancor meglio, trangugiare. Ciò che ci racconta il verbo preso in esame oggi è un azione fisica, muscolare, che appartiene all’essere umano con frequenza auspicabilmente quotidiana. In particolare il verbo tȓavonde descrive l’atto di deglutizione con la sonorità quasi onomatopeica dell’inghiottire. Ecco perché trangugiare è la traduzione più consona.

L’etimologia è oggetto di discussione senza che si sia arrivati a una proposta del tutto soddisfacente. Alcuni vocabolari sostiengono che il lemma provenga dal latino transfundere (travasare, trasferire, trasportare). Un parere diverso può essere quello di chi ipotizza l’origine dal latino traponere o intraponere (mettere in mezzo). Da non escludere è il latino trahere che significa trarre, nel senso di muovere qualcosa esercitando una forza di trazione o, comunque, condurre qualcosa o qualcuno in un determinato luogo.

Il fatto è che la parola tȓavonde è utilizzata sia per il suo significato più pratico e diretto, sia per una metafora dal sapore amaro come un dispiacere, una rabbia impossibile da sfogare. Si dice tȓavonde, anche per intendere mandar giù o buttar giù silenziosamente un dispiacere: tȓavonde ameȓ e spivé doss (deglutire amaro e sputare dolce), soffrire dispiaceri, accettare qualcosa a malincuore con costretta rassegnazione.

Qualche modo di dire: feȓa tȓavonde (farla ingoiare al rospo); tȓavonde ȓa saliva ciàȓa (deglutire la saliva chiara, avere l’acquolina); tȓavonde d’o tòssi peȓ meisina (mandare giù il veleno per medicina, sopportare con pazienza e rassegnazione); tȓavonde ‘d cole neiȓe (bere di quelle nere, bere bottiglie di vino nero). Infine, un proverbio con un risvolto pratico e metaforico: eȓ can o rosìja j’òss peȓché o peuȓ nen tȓavondje (il cane rosicchia gli ossi perché non può ingoiarli).

Paolo Tibaldi

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