La Chiesa del legalismo e quella della verità che libera

PENSIERO PER DOMENICA – XXXI TEMPO ORDINARIO – 5 NOVEMBRE

Nelle letture di questa XXXI domenica del Tempo ordinario, troviamo il peggio del giudaismo decadente e il meglio della novità cristiana. Si tratta di un’evidente semplificazione di una realtà molto più complessa. È però utile, perché ci offre un criterio di giudizio per le nostre comunità. Anche in questo tempo di Sinodo.

La Chiesa del legalismo e quella della verità che libera
Gesù tra gli scribi e i farisei, miniatura del XV secolo dal Codice De Predis, Biblioteca reale di Torino. Gesù ai suoi interlocutori rimprovera tre difetti: legalismo, incoerenza tra fede e vita, ed esibizionismo liturgico.

L’anti-modello da cui guardarci, stigmatizzato a chiare lettere da Gesù, nella sua polemica contro gli scribi e i farisei (Mt 23,1-12) è una Chiesa pomposa, tradizionalista, avida di potere, preoccupata di promuovere sé stessa, chiusa in dispute teologiche per iniziati, preoccupata solo dell’immagine pubblica che offre. Concretamente, Gesù denuncia tre difetti: il legalismo che riduce tutto a precetti e divieti, l’incoerenza, propria di chi dovrebbe dare il buon esempio e l’esibizionismo liturgico. Noi sappiamo che questa denuncia è costata cara a Gesù: addirittura una condanna a morte! Oggi per fortuna, da noi – a differenza di altri contesti religiosi – non si corrono rischi vitali; al massimo impopolarità ed emarginazione, perché ancora oggi “la verità fa male”. A livello sia personale che comunitario, facciamo fatica a dirci la verità fino in fondo, a mettere il dito nelle piaghe dei nostri difetti.

Il modello è Paolo che nella prima lettera ai Tessalonicesi (2,7-13) offre l’immagine di una Chiesa vitale e materna: quella sognata da Malachia (2,2-10) e annunciata da Gesù: «Siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre che ha cura dei propri figli», pronti a dare anche la vita. Colpisce che queste parole siano presenti nel primo scritto del Nuovo Testamento e riflettano i passi della nuova comunità. I primi cristiani hanno faticato a capire la profondità del pensiero teologico di Gesù, ma hanno colto subito la novità del suo modo di relazionarsi con le persone e hanno cercato di imitarlo. Da notare che non è stato nemmeno Paolo a inventare questo stile, ma, se lo ha adottato subito, è perché lo aveva trovato già realizzato da quelle comunità che stava perseguitando.

 

Credere nella forza della Parola. Il modello prospettato da Paolo è così alto che può spaventare. Quasi prevedesse l’obiezione, egli conclude il suo intervento ricordando che nello sforzo di vivere una vita ecclesiale così impegnativa non siamo soli: abbiamo dalla nostra parte la forza della «Parola di Dio che opera in voi credenti». Così Dio ci viene in aiuto. Ecco il senso del nostro appuntamento settimanale con la Parola.

Lidia e Battista Galvagno

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